Once upon a time in Dallas

Il 22 novembre 1963 è una di quelle date incise nella mente di molti, di tutti. Chi c’era se la ricorderà sempre, chi non c’era ancora, o era troppo piccolo, a imparato a conoscere, e a ricordare. È uno di quei giorni che io chiamo “la fine dell’innocenza” la fine di una favola, di un’età dell’oro, una fase che nasce come un sogno e finisce in un incubo.

(Ph: Cinema Publishers Collection/imago images)

All’una del pomeriggio del 22 novembre 1963 il presidente John Fitzgerald Kennedy viene dichiarato deceduto dai sanitari del Parkland Memorial Hospital, dove era giunto in condizioni disperate – forse già morto – dopo l’attentato avvenuto mezz’ora prima.

Jack faceva la storia, Jackie la raccontava. Fu lei, colta e amante della cultura più del marito, a definire Camelot l’era kennediana e quando Jack se ne andò, il mondo si aspettava che Jackie, vedova a 34 anni con due bambini piccoli (più altri due morti alla nascita) diventasse la vestale del mito, un mito che come nella tragedia greca si nutriva della propria distruzione. Non ci riuscì, non come si voleva da lei. Ma quel giorno alla fine ce lo ricordiamo forse più per Jackie che per Jack. Lady Violet di sicuro, forse anche per quell’istintivo pudore che si ha nel guardare qualcuno che sta morendo senza poter fare nulla. Quel giorno per me è Jackie, che arriva nella città texana con la sua grazia leggiadra, e ne riparte sempre graziosa, ma pietrificata. Quel giorno per me è quella mise rosa, la cui storia abbiamo raccontato in questo post: Quel tailleur rosa.

Tre giorni dopo il figlio John compiva tre anni, e l’immagine che racconta quella giornata è un bimbo col cappottino azzurro che fa il saluto alla salma del padre; l’abbiamo ricordato qui: Jackie, la donna che visse tre volte (parte seconda)

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