Il 7 febbraio 1999 è l’Ascension Day di Re Abdullah II di Giordania; nel giorno in cui il padre muore il nuovo sovrano giura davanti al Parlamento. La cerimonia di intronazione (in Giordania manca una corona vera e propria) avviene il 9 giugno dello stesso anno, e in quel giorno per la prima volta il mondo può ammirare la bellezza e l’eleganza della nuova regina; quanti si sentivano orfani di Diana e del suo glamour hanno trovato una degna sostituta.

Nonostante il trucco pesante che la invecchia un po’ e le toglie freschezza, Rania risplende in un favoloso abito di Eliee Saab ispirato al costume tradizionale mediorentale, composto da un fourreau di seta beige e un pardessous ricamato. Le cronache dell’epoca attribuivano a questa mise un valore di 2.4 milioni di dollari, ma va detto che la sovrana ha indossato l’abito anche alla cerimonia per i 10 anni di regno, il che lo qualifica ufficialmente come investimento.

Se il Re di Giordania non ha corone da indossare neanche in quel giorno, la Regina sfoggia un pezzo di grande importanza; è la tiara firmata Cartier che il suocero Re Hussein donò alla terza moglie, l’amatissima Alia, morta a soli 28 anni precipitando con un elicottero. La tiara appartiene alla Principessa Haya – moglie in fuga da Mohammed bin Rashid Al Maktoum, emiro di Dubai e Premier degli Emirati, accusato di essere un violento padre-padrone – che l’ha spesso prestata alla cognata. Un gioiello di grande effetto, di gusto forse un po’ più orientale e anche un po’ eccessivo – soprattutto in abbinamento con gli orecchini en pendant – ma insomma, in fondo sempre di un’incoronazione si parla.

Tanto questo diadema è importante, quanto è minimal un altro gioiello che abbiamo spesso visto sui capelli di Rania negli eventi formali; creato da Boucheron nel 2008, è una tiara trasformabile non in collier ma in bracciale. è questo che la regina ha abbinato al famoso abito dell’incoronazione celebrando i 10 anni di regno; una versione più misurata di grande eleganza.
Firmata Boucheron anche una terza tiara indossata dalla sovrana: un tralcio di foglie d’edera in oro nero e smeraldi: un pezzo molto particolare e non facilissimo da portare; dato che però è comparsa sul real capo solo un paio di volte, probabilmente si trattava di un prestito della maison francese.
Questo lo stile della regina hashemita: un mix di tradizione e modernità, ispirazioni etniche e grandi griffe. A me piace moltissimo con gli abiti ispirati ai costumi del suo paese, eleganti e scenografici insieme.

Abiti che noi definiamo genericamente caftani, a che hanno nomi, modelli, origini e funzioni anche molto diverse. Rania – che peraltro veramente di rado appare velata – li indossa con un tocco glam che è veramente la sua marcia in più.
Spostando lo sguardo a occidente, la regina ama affidare la sua silhouette così sottile e aggraziata a quegli stilisti dalle linee più semplici e pulite, con una predilezione per Prada e Armani, che l’ha vestita con due degli abiti da sera più belli mai visti.
E poi Valentino, Dior, Givenchy, Fendi, Balenciaga, Vuitton; scelte sicure per uno uno stile urbano e chic, e ogni tanto qualche errore qua e là, tanto per non sembrare troppo perfetta. Mise sempre interessanti, che sia il blu Vuitton indossato per un incontro sulla pace ad Assisi, l’insieme rosa chiarissimo che abbina la blusa al pantapalazzo per la visita alla White House, la gonna a raggi bianchi e neri indossati a Madrid o addirittura il completo Zara.
Con qualche coup de théâtre, tipo la kefiah indossata sul completo a righe, o il nero rigoroso ed elegante in visita a Papa Francesco, col capo coperto da una stola di chiffon bianco, un look che più Audrey non si può.
Invitata di riguardo ai tanti royal wedding degli ultimi anni, non sempre secondo me ha indovinato la mise. A Stoccolma, in lungo per le nozze tra la Principessa Ereditaria Victoria e il suo David era in viola Armani. Nonostante lo stilista (e il colore) all’epoca non mi piacque, e oggi francamente nemmeno. Dalle maniche diverse alla cofana di capelli cotonati tutto troppo pasticciato (e mi asterrò sul frac del Re). E poi perché quel plateau, se già sovrasta il marito?

Per la Boda Real che il 22 maggio unì Felipe a Letizia era veramente splendida in Givenchy Haute Coture; purtroppo aveva ignorato il dress code che prevedeva abito corto e cappello, e certo quella magnifica gonna abbinata a una semplice camicia bianca non può essere contrabbandata come abito tradizionale.

La perfezione non è di questa terra, per fortuna.
La prima parte del post dedicato a Rania lo trovate qui Queen Rania, fifty&fabulous (parte prima)















Ripresa nella drawing room del castello Windsor, seduta a un piccolo tavolo su cui troneggia il ritratto di quel padre tanto amato e tanto presto perduto, Sua Maestà risplende in un abito azzurro lavanda. E la scelta della spilla vi delizierà: non una ma due, la coppia di pins in acquamarine e diamanti firmate Boucheron che ricevette dai genitori in dono per il diciottesimo compleanno, nel 1944, quando la fine della guerra era ancora lontana.
Questa storia comincia a Londra nell’agosto del 1943. Lei si chiama Lillian; negli anni ’30 ha lasciato la natia Swansea, nel Galles meridionale, alla volta della capitale, dove inizia una carriera di modella che la porta fin sulle pagine di Vogue.
Perde una L nel nome e guadagna un marito, l’attore scozzese Ivan Craig, che però parte per la guerra subito dopo le nozze. Lilian giovane sposa va a lavorare in fabbrica per contribuire come può allo sforzo bellico, e la sera frequenta la Londra che cerca di resistere all’orrore; è qui che a un party – secondo alcuni proprio quello per festeggiare il suo ventottesimo compleanno – lei conosce lui, Bertil. Che è un ufficiale della Reale Marina svedese, ha trentun anni, ed è attaché navale dell’ambasciata del suo Paese nella capitale britannica.
Anche se indossa l’uniforme, è abbastanza poco uniforme alle altre migliaia di ufficiali in circolazione: il suo nome completo è Bertil Gustaf Oskar Carl Eugén, Principe di Svezia, Duca di Halland. Suo nonno Gustav V siede sul trono, la sua bisnonna materna era Queen Victoria, di cui la famiglia di Lilian – che di blu ha solo i bellissimi occhi – era modesta suddita. È il colpo di fulmine, ma potrebbe essere uno di quegli amori di guerra, che finiscono quando scoppia la pace.
Il loro non finisce, ma devono aspettare; nel 1945 lei ottiene il divorzio, ed è solo il primo degli ostacoli superati, perché alla corte di Svezia le consorti plebee non sono gradite. Bertil è il quarto dei cinque figli del principe ereditario Gustav Adolf e della sua prima moglie Margaret di Connaught. Dei suoi fratelli, il secondogenito Sigvard è già fuori dalla successione per aver sposato la figlia di un industriale tedesco (negli anni si sposerà altre due volte e diventerà un famoso designer), Ingrid ha sposato nel 1935 il Principe Ereditario Frederik di Danimarca – sono i genitori di Margrethe II e delle sue sorelle – il minore Carl Johan sta per seguire le orme di Sigvard, sposando a New York una giornalista. La successione è assicurata dal primogenito Carl Gustav, secondo dopo il padre; è sposato con Sibylla von Sachsen-Coburg und Gotha ma non ha ancora un figlio maschio, “solo” quattro femmine, il che fa di Bertil il terzo nella successione. Finalmente il 30 aprile 1946 arriva il principino, ma pochi mesi dopo la tragedia si abbatte sulla corte: il giovane Carl Gustav muore in un incidente aereo. Le responsabilità di Bertil aumentano, potrebbe essere chiamato ad agire da reggente per il nipotino, e un eventuale matrimonio con Lilian – cui il re proibisce di mettere piede in Svezia – è fuori questione, bisogna aspettare.
Bertil e Lilian devono anteporre la sicurezza del trono alla loro felicità, devono aspettare. Dopo qualche anno finalmente possono stare insieme, in Svezia, e vanno a vivere a Villa Solbacken; una convivenza discreta, lui ufficialmente è single, all’occorrenza rappresenta il Paese e la Corona, e di tanto in tanto il suo nome viene avvicinato a quello di aristocratiche fanciulle quali papabili consorti. Che stillicidio dev’essere stato per lei, far finta di niente e aspettare. Ventidue anni aspettano, finché nel 1972 Lilian viene invitata a corte, alla festa per il 90 anni del re.
Per la prima volta sul suo capo brilla la Laurel Wreath Tiara, un gioiello di Boucheron che Bertil ha ereditato dalla madre, che Lilian ha lasciato alla futura regina Victoria. È il riconoscimento del suo ruolo accanto al principe, è la dimostrazione di quanto questa donna discreta ed elegante abbia saputo farsi apprezzare dal sovrano e dalla famiglia reale (forse non tutta: sembra che la sorella di Bertil, Ingrid di Danimarca, facesse fatica ad accettarla). Regista dell’operazione sicuramente l’erede al trono, legatissimo ai due; quando l’anno seguente Carl Gustav sale al trono si decide anche in merito al matrimonio: ma la coppia deve aspettare ancora, finché il giovane re non sarà sposato a sua volta. Il sovrano è già innamorato: a Monaco per le Olimpiadi, ha conosciuto la bellissima Silvia Sommerlath, che come Lilian è assolutamente, irrimediabilmente borghese. Ma ormai è lui a decidere, e le spose commoner a corte sono ora le benvenute. Carl Gustav e Silvia si sposano a Stoccolma il 19 giugno 1976, a novembre la giovane regina è già incinta, la successione è assicurata, Bertil può finalmente pensare a sé e sposare il suo grande amore.
Il 7 dicembre, finalmente, il matrimonio; Lilian è in abito azzurro cielo di Elizabeth Wondrak, con un gran mazzo di mughetti e un’acconciatura di piume molto simile a quella dorata indossata da Camilla, sposa di Charles. L’anno seguente, nella foto del battesimo di Victoria, accanto ai genitori e ai nonni Sommerlath ci sono loro due; ed è così, nonni affettuosi, che li hanno sempre considerati i tre figli della coppia reale.
Nei ventiquattro anni che dura il matrimonio la coppia appare sempre insieme, complice e molto affettuosa, alternando agli impegni ufficiali in Svezia la vita più rilassata nella villa di Sainte-Maxime, il buen retiro provenzale, dove Bertil scorrazza sulle auto d’epoca di cui è appassionato collezionista e gioca a pétanque, il gioco francese con le bocce.
Dopo una lunga malattia, lui muore il 5 gennaio 1997, poco prima di compiere 85 anni. Lei continua ad essere una presenza importante e amatissima nella famiglia reale, adorata da Victoria, cui però dà un grande dolore non partecipando alle sue nozze con Daniel il 19 giugno 2010; troppo anziana, troppo stanca, troppo malata. Lilian muore il 10 marzo 2013, e torna per sempre dove ha sempre desiderato stare, accanto a Bertil. Dimostrando che il lieto fine può essere un inizio, e la strada per arrivarci può essere altrettanto lieta, anche se piena di ostacoli.
Entrambe le attrici premiate per la loro performance erano vestite Armani Privé; semplice e di gran linea, nel più puro stile Giorgio, l’abito bianco ricamato di paillettes iridescenti
Mi convince meno il modello scelto da Laura Dern, migliore non protagonista: le frange nere che segnano il décolleté non mi fanno impazzire, men che meno abbinate al sottostante rosa pallido. Boh.
Personalmente preferisco Charlize Theron vestita in colori chiari e/o metallizzati – bianco, cipria, silver, gold (soprattutto) – ma questo Dior Haute Couture così meravigliosamente opaco e profondo, con la gonna super scenografica e la spallina che sembra scesa per sbaglio rasenta il sublime. Solitamente da evitare lo smalto black on black, ma in questo caso va bene pure quello; poi un collier di Tiffany e via. Chic.
Scarlett Johansson è la grande sconfitta: candidata in entrambe le categorie per le attrici non ha vinto nessuna statuetta. Per fortuna l’Oscar se l’era portato da casa, e dovrà accontentarsi di questo Oscar de la Renta in raso argento con catenelle leggerissime che sarebbero troppo addosso alla maggioranza delle mortali. Ma lei è la novella Afrodite, ed è pure chic.
Jane Fonda, dea tra le dee, arriva così: un Eliee Saab riciclato, passo sportivo – decenni di aerobica lasciano il segno – e soprabito sulla spalla. Più un inedito bob silver, che a 82 anni la ringiovanisce pure. Chic.
Regina King in Atelier Versace è in puro stile Hollywood in rosa baby, dall’abito al rossetto, che dopo i venticinque sarebbe un pianto su chiunque. Regale di nome e di fatto, chic.
Janelle Monáe in Ralph Lauren, che la trasforma in Selene “la risplendente”, la dea della luna. Un abito tridimensionale come una scultura, una di quelle mise senza mezze misure, la si ama o la si odia. Lady Violet la ama. Chic.
Sigourney Weaver avvolge il suo metro e ottanta (abbondante) in un Dior Haute Couture di un bellissimo e difficilissimo verde bosco. Bello il drappeggio sulle maniche lunghe, bellissimo il plissé stretto della gonna. Una vera dea greca. Chic.
Direttamente dall’Olimpo di Hollywood Tom Hanks e la moglie Rita Wilson, entrambi vestiti Tom Ford. Le frange leggere dell’abito secondo me accompagnano il passo in maniera mirabile, l’underwear non è impeccabile, ma lei ha superato un brutto cancro al seno, e va benissimo così. Bella, sana, amata e pure chic (ma la prossima volta meglio un’altra clutch).
Maya Rudolph si butta sull’antico Egitto, e Valentino la trasforma in una statuetta di bronzo. L’abito potrebbe essere interessante, ma indossato così è davvero shock.
Probabilmente Salma Hayek pensava che il candido Gucci l’avrebbe davvero trasformata in una dea greca, complice anche il serto e gli orecchini simil-ulivo (Boucheron) tra i capelli. L’effetto finale invece è più pedone degli scacchi, shock.
Se il nero è una religione, Mademoiselle Coco ne è la gran sacerdotessa. Penélope Cruz la gloriosa sceglie una mise vintage piena di dettagli della Maison: le perle, la camelia, il fiocco piatto. Sembra vintage anche la spiegazzatura della gonna. Chic (ma dopo una passata di ferro).
Margot Robbie la decadente. Vintage Chanel anche per l’attrice australiana, penalizzata dal fitting: l’abito sembra sull’orlo del precipizio, trascinato dal peso della spilla. Interessanti le maniche/armille, danneggiate dalla posa alla Sophia nel’Oro di Napoli. Boh.
Lucy Boynton la bon ton sarebbe piaciuta anche a Coco con l’abito bicolore, particolarmente adatto ad una ragazza così giovane. Le maniche sono uno spettacolo nello spettacolo, i capelli color paglia un mezzo incubo, ma per stavolta la perdoniamo. Chic.
Natalie Portman la femminista. Per un attimo ho temuto che avesse preso spunto da Achille Lauro a Sanremo, ma per fortuna mi sbagliavo. L’abito Dior Haute Couture nero con ricami in oro scuro è un po’ troppo funereo, e la mantella – sul cui rever sono ricamati i nomi delle registe lasciate fuori dalla corsa agli Oscar – non aiuta. Boh.
Zazie Beetz sul metro. E lo so, certe volte proprio non sai dove mettere le mani e l’abitino da apericena di Thom Browne non ha le tasche, ma una chilata di collier Bulgari non si può portare così. Shock.
Le tasche le ha il bell’abito di Romona Keveza indossato da Geena Davis: bustino con profonda scollatura che l’attrice porta con eleganza su una ricca gonna piena di pathos. Veramente chic.
Molto bello e per niente hollywoodiano l’abito di Joanne Tucker, attrice e moglie di Adam Driver: un Oscar de la Renta con bustier nero e gonna bianca ricamata a tralci di fiori, delicato e raffinato quanto chi lo indossa. Chic.
Discorso analogo per la mise Valentino Haute Couture indossata dalla sofisticata Caitriona Balfe, poco Hollywood e molto vecchia Europa. Chic.
Poteva mancare uno dei colori più iconici della storia della moda, il rosso Valentino? Ci pensa Kristen Wiig con un abito Haute Couture che oscilla tra l’assurdo e il sublime. Belle le scarpe, bellissimi i lunghi guanti, ma la mise, boh.
Hollywood è il regno del’eccesso, e la serata degli Oscar l’eccesso dell’eccesso, e anche quest’anno non ha fatto eccezione. Esemplare in tal senso la mise di Saoirse Ronan (il nome si pronuncia tipo siur-scià) creata da Gucci: enorme gonna in seta moiré azzurro glicine, su corpetto nero con gran volant color crema piazzato proprio sul(l’inesistente) pancino. Boh.
Come abbiamo iniziato, così concludiamo: due creazioni di King Giorgio, due smoking indossati da due uomini che hanno incarnato fascino, charme e sex appeal. Il passato, ancorché prossimo, è ahimé d’obbligo. Ma almeno la tinta con la ricrescita no, dai. Fuori concorso.