An American Love Story

Era inevitabile, ed è accaduto: si sta girando una serie sulla storia tragica di John F. Kenedy Jr e di sua moglie Carolyn Bessette. Si chiamerà American Love Story e in Italia dovrebbe essere visibile su Disney. Negli USA l’uscita è prevista per l’inizio del prossimo anno, si dice per il 14 febbraio, giorno di San Valentino, per celebrare un amore che all’inizio sembrava una favola – anche se io non ho avuto mai questa impressione – e che è finito nel più orribile dei modi.

(Ph: Rose Hartman/Getty Images)

Anche noi ragazze nate nella prima metà degli anni ’60 avevamo i nostri principi azzurri, che nel mio caso – oltre all’allora bellissimo biondissimo e capellutissimo Albert de Monaco – avevano più charme che sangue blu: uno era John, l’altro Giovannino Agnelli. Nel giro di due anni e mezzo erano morti entrambi. Se nel caso di Giovannino ci si mise una malattia implacabile (“l’unica che uno come lui, col suo danaro e i suoi contatti, non possa curare” mi disse all’epoca un amico medico), la morte di JFK Jr con moglie e cognata ha quasi i contorni di una tragedia greca. Che avvenne quando mancavano cinque mesi al 2000, chiudendo in qualche modo il Novecento e l’epopea dei Kennedy.

Oggi sono trascorsi 26 anni da quell’assurdo incidente, praticamente una vita. Se avete voglia di iniziare la giornata con un tocco di estiva malinconia, qui trovate il post: A Royal Calendar – 16 luglio 1999. Non vi preoccupate per me, nel corso della giornata l’umore migliora!

Once upon a time in Dallas

Il 22 novembre 1963 è una di quelle date incise nella mente di molti, di tutti. Chi c’era se la ricorderà sempre, chi non c’era ancora, o era troppo piccolo, a imparato a conoscere, e a ricordare. È uno di quei giorni che io chiamo “la fine dell’innocenza” la fine di una favola, di un’età dell’oro, una fase che nasce come un sogno e finisce in un incubo.

(Ph: Cinema Publishers Collection/imago images)

All’una del pomeriggio del 22 novembre 1963 il presidente John Fitzgerald Kennedy viene dichiarato deceduto dai sanitari del Parkland Memorial Hospital, dove era giunto in condizioni disperate – forse già morto – dopo l’attentato avvenuto mezz’ora prima.

Jack faceva la storia, Jackie la raccontava. Fu lei, colta e amante della cultura più del marito, a definire Camelot l’era kennediana e quando Jack se ne andò, il mondo si aspettava che Jackie, vedova a 34 anni con due bambini piccoli (più altri due morti alla nascita) diventasse la vestale del mito, un mito che come nella tragedia greca si nutriva della propria distruzione. Non ci riuscì, non come si voleva da lei. Ma quel giorno alla fine ce lo ricordiamo forse più per Jackie che per Jack. Lady Violet di sicuro, forse anche per quell’istintivo pudore che si ha nel guardare qualcuno che sta morendo senza poter fare nulla. Quel giorno per me è Jackie, che arriva nella città texana con la sua grazia leggiadra, e ne riparte sempre graziosa, ma pietrificata. Quel giorno per me è quella mise rosa, la cui storia abbiamo raccontato in questo post: Quel tailleur rosa.

Tre giorni dopo il figlio John compiva tre anni, e l’immagine che racconta quella giornata è un bimbo col cappottino azzurro che fa il saluto alla salma del padre; l’abbiamo ricordato qui: Jackie, la donna che visse tre volte (parte seconda)

Il caffè del lunedì – Predestinati

La trasferta bostoniana per la consegna degli Earthshot Prize è stata l’occasione per numerosi incontri che i Principi di Galles hanno condotto sia insieme sia in solitaria. E così venerdì 2 dicembre, aspettando la cerimonia finale, mentre Catherine era a Harvard per un progetto dedicato all’infanzia, William ha visitato la JFK Library accolto da Caroline Kennedy accompagnata dai due figli minori, Tatiana e Jack. Visita in qualche modo obbligata, visto che lo stesso principe ha dichiarato che il Moonshot (cioè il programma spaziale) del presidente Kennedy è tra gli elementi che hanno ispirato il progetto dei premi Earthshot; la natura degli incontranti però ha senz’altro distratto l’attenzione dall’incontro.

Due predestinati: lui futuro re, lei principessa americana, nati in un privilegio che ha presentato presto il conto. Lui ha dovuto adattarsi da subito ad un futuro già scritto, lei ha avuto qualche difficoltà a costruirsi il suo, dalla rinuncia a lavorare come fotoreporter visto che finiva per attirare l’attenzione e diventare lei la notizia, al ritiro dalla corsa al Senato al posto di Hillary Clinton, per la violenta campagna di stampa che la accusava di avere nient’altro da offrire che il proprio nome. Lui già da bambino vive l’infelicità del matrimonio dei genitori, e ha solo quindici anni quando segue il feretro della madre. Lei di anni ne compie sei il 27 novembre 1963, due giorni dopo il funerale del padre, probabilmente troppo piccola per percepire i problemi del matrimonio di Jack e Jackie. Genitori amati ma ingombranti, lui figlio della principessa del popolo che ancora scatena deliri di devozione, lei della coppia d’oro della White House, i giovani belli colti eleganti Kennedy. Difficile immaginare due madri che più delle loro abbiano segnato la loro epoca e influenzato lo stile (più quella di lei) e il costume (più quella di lui).

Jacqueline Kennedy Onassis morì due mesi prima di compiere 65 anni, Caroline li ha compiuti da pochi giorni; ora si trova dunque in quella particolare condizione di aver superato l’età della morte di entrambi i genitori, per cui si comincia a guardarli quasi come se i figli diventassero loro; riflessione che fece un giorno in maniera profonda e complessa Mario Calabresi. Non credo che Caroline voglia diventare la matriarca dei Kennedy, ruolo scomodo come pochi altri, ma penso che voglia invecchiare serenamente, libera forse definitivamente dall’essere figlia della donna più chic del pianeta. William è più “fortunato” dato che i paragoni con la madre Diana hanno naturalmente dei limiti; al momento mi sembra più sotto pressione la moglie, novella Princess of Wales dopo cotanta (che però, come abbiamo già notato, si è presentata con i tacchi alti alla partita dei Boston Celtics; in questo caso Kennedy batte Windsor).

Se ovunque vadano entrambi si portano dietro il peso del passato, questa volta guardarli mi ha invece fatto pensare al futuro. Per lui si è trattato del primo viaggio all’estero dopo aver assunto il nuovo ruolo, e mi sembra che se la sia cavata onorevolmente; lei, dopo essere stata ambasciatore in Giappone, nominata dal Presidente Obama, svolge ora il medesimo incarico in Australia. Dove, come sapete, capo di stato è il padre di lui, King Charles.

Tre mesi fa, in occasione della morte della Regina, Caroline aveva rilasciato una dichiarazione per celebrarne la forza, la grazia, la devozione al servizio del suo popolo.

Magari ricordando quel giorno a Runnymede, un anno e mezzo dopo la morte del padre, quando quella regina inaugurò il Kennedy Memorial, e Prince Philip teneva per mano il piccolo John, coetaneo del figlio Andrew.

Intrecci affascinanti, che ci ricordano come la storia sia sempre fatta dalle donne e dagli uomini.

Jackie, la donna che visse tre volte (parte terza)

Nel giorno in cuiavrebbe compiuto 92 anni, concludiamo il ricordo di Jacqueline Bouvier Kennedy Onassis; in calce trovate i link per i precedenti capitoli.

(Ph: David Cairns/Getty Images)

“Non sia dimenticato quel breve luminoso momento che fu Camelot” dice Jackie Kennedy a Theodore White che va ad intervistarla per la rivista Life il 29 novembre, una settimana dopo la morte del Presidente.

La Camelot del ventesimo secolo finisce con un regicidio.

Dopo la tragedia, dopo le immagini iconiche che contribuiscono a creare il mito, come il tailleur rosa di Jackie macchiato del sangue del marito (Quel tailleur rosa), dopo il funerale che mischia l’austera solennità del rito alla tenerezza dei due orfani, resta una vedova di trentaquattro anni che deve ricostruire la vita per sé e per i suoi bambini. Intanto, anche se sembra brutto, Jackie e i figli devono sgomberare rapidamente dalla White House, che è diventata ufficio e residenza del nuovo Presidente Lyndon B. Johnson; la famigliola torna nella casa di Georgetown da cui i Kennedy erano usciti per diventare la prima coppia del Paese e scrivere una pagina di storia.

Washington è e resta la città di Jack, il suo ricordo è ovunque e rinnova il dolore ad ogni respiro; è ora di ricominciare, altrove. Il suocero, che di fatto li mantiene, vorrebbe nuora e nipotini a Boston, sede del clan Kennedy, ma Jackie decide di tornare alle origini: la loro meta sarà New York. A settembre 1964 si trasferisce coi bambini in un grande appartamento al numero 1040 della Fifth Avenue: quattordici stanze di cui cinque camere da letto, un grande soggiorno affacciato su Central Park, una bella cucina – dove lei in verità entra raramente – camini dappertutto. Sarà la sua casa per il resto della vita.

Non sono tempi facili, gli Americani si aspettano che lei sia la vedova della nazione, ma alla sua età Jackie vuole probabilmente qualcosa di diverso per sé e per i figli, a partire dal rispetto della loro privacy. In questo insolito ruolo di First Lady Vedova Jackie continua a partecipare a molte manifestazioni che ricordano il marito: il 14 maggio 1965 è nel Regno Unito, ospite con i figli della Regina, che inaugura il John Kennedy Memorial a Runnymede. È sempre di uno chic assoluto, la ex First Lady, semplicissima in total white, mentre Her Majesty – maggiore di soli tre anni – non resiste al richiamo di quei cappelli tutti tempestati di fiori, così di moda da influenzare perfino le cuffie da bagno. Anche i bambini sono in bianco come la mamma, col piccolo John, quattro anni e mezzo, che dà la manina al Duca di Edimburgo.

Sono i figli il suo pensiero principale, aldilà di ogni ambizione o desiderio personale, è il futuro di Caroline e John Jr. a preoccupare Jackie. Ma la situazione precipita il 6 giugno 1968, quando Robert, fratello minore del presidente ucciso e candidato a sua volta alla presidenza, viene ucciso a Los Angeles durante la campagna per le primarie. Jackie si convince che i Kennedy sono diventati un bersaglio, e non si sente più sicura negli USA. Tra la sorpresa di tutti e le critiche di molti, decide di sposare Aristotele Onassis. Che è sicuramente ricchissimo – forse il più ricco – decisamente non bello, anche se chi lo conosce gli attribuisce un certo fascino; parecchi anni (ventirè) più di lei, e qualche centimetro in meno di altezza.

Che non sia il classico matrimonio d’amore lo rivela il prenup, il contratto prenuziale che regola dettagliatamente e minuziosamente perfino i rapporti coniugali. Il matrimonio si celebra il 20 ottobre 1968 a Skorpios, isola greca dello Ionio di proprietà dello sposo. La sposa si conferma una fuoriclasse dello stile indossando un abito bianco avorio che scandalizza i benpensanti, dato che il candido abito nuziale è simbolo della purezza della nubenda, inadatto quindi alle seconde nozze. Ma lei si è innamorata: non tanto del nuovo marito, quanto di un giovane stilista di Voghera che proprio quell’anno ha incantato con la sua White Collection; l’abito creato per queste nozze lo proietterà definitivamente nell’empireo della moda, e gli aprirà le porte del mercato internazionale. Valentino crea per Jackie un abito corto, con gonna a pieghe piatte e un corpino lungo e accollato intarsiato di pizzo, le lunghe maniche trattenute da alti polsini. Un abito sofisticato e quasi rivoluzionario, in aperto contrasto con la moda dell’epoca che prediligeva forme geometriche e colori squillanti. In pochi giorni la maison, tempestata di telefonate da vecchie e nuove clienti, vende ben 400 abiti della collezione, e sembra che anche Audrey Hepburn abbia voluto il suo, nel nuovo Jackie style.

Non è un matrimonio felice, troppo diversi gli sposi, che passano insieme il tempo strettamente necessario. Va detto che Onassis è sempre molto affettuoso e paterno con i bambini Kennedy, mentre sua figlia Christina, neanche diciottenne all’epoca del matrimonio, non riesce a legare con la matrigna. Ari torna presto tra le braccia dell’amata Maria Callas, che lo adora, mentre la moglie, ribattezzata Jackie O, diventa la regina della mondanità internazionale e dello shopping.

I rotocalchi sono pieni delle sue immagini e del suo stile: i pantaloni bianchi, i sandali infradito, i grandi occhiali da sole, i foulard Hermès legati in testa, la borsa a spalla (Gucci gliene dedica una che ha ancora un grandissimo successo e viene riproposta continuamente), i bijoux, soprattutto quelli favolosi di Kenneth J. Lane (Jackie, Kenneth e la collana dei sogni) mentre passeggia per Capri o per Ravello in compagnia di Valentino o di Gianni Agnelli, che si vocifera sia più di un amico.

A separare definitivamente i coniugi arriva una nuova tragedia: nel 1973 l’adorato figlio di lui, il venticinquenne Alexander, muore in un incidente aereo gettando il padre in una disperazione da cui non si solleverà più. Anche il matrimonio con Jackie è finito, ma Ari muore prima di finalizzare il divorzio. È il 1975, Jackie ha 46 anni ed è di nuovo vedova, ma questa volta è totalmente padrone di sé e del suo destino.

Inizia la sua terza vita. Torna in pianta stabile negli USA. riapre l’amato appartamento al 1040, ma invece di godersi l’eredità Onassis continuando la vita lussuosa degli ultimi anni si trova un lavoro. Il primo settembre di quell’anno inizia a lavorare per la casa editrice Viking; poi passerà alla Doubleday, e continuerà questa attività che l’appassiona tanto fino alla fine; i paparazzi che l’hanno assediata nelle residenze dei Kennedy o nei luoghi del jet set, ora la inseguono per le vie di New York, mentre va a piedi in ufficio.

Trova anche l’amore: Maurice Templesman, mercante di diamanti suo coetaneo. Un uomo “normale” forse il vero grande amore della sua vita. Nel 1988 lui si trasferisce da lei, si occupa delle sue finanze e sembra riesca addirittura quadruplicare i 26 milioni di dollari ereditati da Onassis. La primogenita Caroline si è sposata e la rende nonna di Rose, Tatiana e John, l’adorato figlio John Jr le crea invece qualche grattacapo: vorrebbe fare l’attore mentre lei lo spinge verso la carriera legale, e frequenta ragazze che non le piacciono troppo: dalla storica girlfriend Daryl Hannah, a Madonna (probabilmente l’incubo di molte suocere). Forse Jackie vede il figlio troppo simile al padre, anche lui avvolto dalla meravigliosa maledizione di essere un Kennedy.

Ma almeno questa volta la tragedia le è risparmiata: all’inizio del 1994 le viene diagnosticato un linfoma non-Hodgkin; la sera del 19 maggio muore nella sua casa. I suoi funerali vengono celebrati quattro giorni dopo nella chiesa St. Ignatius Loyola in Park Avenue, la stessa dov’era stata battezzata 65 anni prima. Maurice Templesman, l’uomo che l’ha amata, rispettata, protetta, mai tradita come John, mai esibita come Ari, e le è stato accanto in ogni momento nei brevi mesi della malattia, legge una poesia che lei amava: Itaca, di Konstantinos Kavafis.

E aggiunge che il loro viaggio insieme era stato “troppo breve, purtroppo, troppo breve”, ma “pieno di avventura e saggezza, risate e amore, galanteria e grazia”

Trovate qui i capitoli precedenti:

Jackie, la donna che visse tre volte (parte prima) Jackie, la donna che visse tre volte (parte seconda)

Qui il post sulla morte di John F. Kennedy Jr. A Royal Calendar – 16 luglio 1999

Jackie, la donna che visse tre volte (parte seconda)

Il 25 novembre 1963 c’è un bambino che compie tre anni, ma non li festeggia in giardino con gli amichetti. Il 25 novembre 1963 c’è una bambina che due giorni dopo ne compirà sei, ma neanche lei li festeggerà come al solito. Il 25 novembre 1963 c’è una giovane donna che invece di organizzare due compleanni ha organizzato un funerale.

Quei due bambini nei loro cappottini di tweed azzurro  danno la mano alla loro mamma vestita di nero, il cui volto pietrificato fa da contrappunto ai marmi di Washington, e con lei accompagnano il padre nel suo ultimo viaggio. Che lo traghetterà dalla cronaca alla storia. Probabilmente considerata in famiglia come il fiocco sulla scatola del prodotto JFK («Venderemo Jack come sapone» diceva il padre, il ricchissimo e spregiudicatissimo patriarca Joseph P. Kennedy) Jackie in quei giorni tragici e cruciali diventa il centro di tutto. Lei a tenere insieme la famiglia, lei a studiare nei dettagli la cerimonia.

(Ph. PH2 Aaron Peterson/U.S. Navy)

Si ispira ai funerali di Lincoln: la bara sull’affusto di cannone seguito da un cavallo con gli stivali infilati alla rovescia nelle staffe, un’immagine che resterà famosa quasi quanto quella del piccolo John che (dietro suggerimento materno) fa il saluto militare al padre. Il 29 novembre Jackie incontra Theodore White della rivista Life,  nella casa di famiglia a Hyannis Port. Gli racconta di quanto Jack amasse Artù, l’eroe idealista raccontato in un libro e in un famoso musical «Don’t let it be forgot, that for one brief, shining moment there was Camelot» (Non sia dimenticato quel breve luminoso momento che fu Camelot) gli dice. Sul sole che tramonta su  Camelot nasce il mito.

L’alba spunta su Camelot venerdì il 20 gennaio 1961, quando si insedia la presidenza Kennedy; è un giorno freddissimo e le strade di Washington sono piene di neve. The Inauguration Of President John F. KennedyTra le tante signore che assistono all’insediamento del nuovo Presidente avvolte nelle loro pellicce spicca la nuova First Lady con un semplice cappotto beige. Gli uomini invece sono in tight, con cappotto e cappello a cilindro; ma quando il Presidente giura, e poi pronuncia il celeberrimo discorso Ask not, il cappotto se lo toglie; JFK, che a 43 anni è il più giovane mai eletto a quella carica, vuol dare da subito l’idea del cambiamento suggerendo energia, salute, potenza. Purtroppo è molto meno in salute di quanto si pensi, e Jackie – che avrebbe voluto reggere la Bibbia su cui giurare, come si fa oggi – sorride enigmatica: secondo qualcuno è perché sa quanti mutandoni e maglie di lana abbia lui sotto l’abito, per sopportare il freddo.

Alla sua prima apparizione ufficiale Jacqueline fissa già i canoni del suo stile, a partire da quel cappello – il pillbox – che diventerà il suo marchio di fabbrica. Oleg Cassini, il sarto che ha scelto come compagno in quest’avventura, è praticamente perfetto: un aristocratico nato a Parigi da padre russo e madre francese che ha studiato con De Chirico, poi si è trasferito negli USA dove frequenta il jet set, lavora nel cinema e veste molte attrici. Ne sposa una (Gene Tierney) si fidanza con un’altra (Grace Kelly); ha quel gusto francese che la nuova First Lady ama tanto e la cittadinanza americana, necessaria per enfatizzare il progetto dei nuovi States, quelli della New Frontier. Jackie ha solo trentun’anni, supera appena il metro e 70, è sottile e naturalmente elegante. Nei mille giorni che dura Camelot il couturier creerà per lei circa 300 mise con uno stile ben definito e immediatamente riconoscibili: linee semplici – preferita quella ad A per gli abiti – giacche a scatola con maniche 3/4, tessuti pregiati, quasi sempre monocromi. Con loro i neonati anni ’60 inventano la donna moderna.

La sera precedente all’inaugurazione i Kennedy partecipano a un gala, e l’abito disegnato da Cassini è pura perfezione: di una semplicità quasi grafica, realizzato in un pesante satin svizzero, unica decorazione un fiore stilizzato in vita. Una volta in auto per raggiungere il gala, il Presidente chiede all’autista di accendere l’illuminazione interna della vettura, in modo che tutte le persone sulla strada possano ammirare la moglie. Un abito di transizione: porta Jackie alla White House e tra le donne meglio vestite di sempre, e traghetta la moda in una nuova fase.

La conferma che la via imboccata è quella giusta arriva qualche mese dopo: il Presidente e la First Lady visitano il vicino Canada dal 16 al 18 maggio 1961; Jackie non è sicurissima di saper affrontare ciò che il nuovo ruolo le richiede, ma le sue foto in total red tra le Giubbe Rosse fanno il giro del mondo. Jackie appunta sulla spalla sinistra una spilla che rappresenta due frutti, in diamanti e rubini; è un dono di Jack, disegnata da Jean Schlumberger per Tiffany. Anche con gioielli e bijoux la First Lady promuove il made in USA: si tratti degli amati bangles di Schlumberger, cui finirà per dare il nome, o dei favolosi bijoux creati dall’amico Kenneth Jay Lane, creatore del collier a tre fili di perle (false) che Jackie indossa spesso e volentieri, anche nelle occasioni più importanti. (Kenneth Jay Lane è una delle passioni di Lady Violet, qui trovate un post dedicato proprio a lui e a Jackie Jackie, Kenneth e la collana dei sogni).

A giugno la definitiva consacrazione: i Kennedy vanno in visita ufficiale in Francia, il Paese da dove arrivano gli antenati di Jackie, i Bouvier. Parigi è l’amatissima città degli studi giovanili alla Sorbonne, ed è naturalmente la capitale mondiale della moda. Jackie alterna creazioni di Cassini ad altre di couturier francesi, realizzate però da una sartoria americana, Chez Ninon, su disegno e con materiali originali, secondo la tecnica “line to line”. È uno Chanel realizzato da Chez Ninon anche uno dei suoi abiti più famosi, il taiilleur rosa indossato a Dallas, il giorno in cui il sogno di Camelot affoga nel sangue (Quel tailleur rosa). 

Ma la sera del gala a Versailles è Givenchy a vestirla – con un abito bianco dal corpino ricoperto di fiori – e il solitamente sobrio De Gaulle, affascinato, la paragona a un quadro di Watteau. Se insieme sono una potenza di giovinezza, bellezza, eleganza, charme, humour (a Parigi Jack si presenta come “l’uomo che accompagna Jacqueline Kennedy”) anche nelle visite in solitaria Jackie incanta.

Sublime l’undici marzo 1962 per l’udienza privata in Vaticano, accolta da Papa Giovanni XXIII, in lungo nero con mantiglia.Splendida nei mille cambi durante il viaggio in India e Pakistan, accompagnata dalla sorella Lee Radziwill, dal 12 al 21 dello stesso mese. In nove giorni la First Lady indossa almeno 22 mise diverse; le cronache del tempo riportano una collezione di abiti declinati nei colori dei fiori delle spezie e della pietre preziose del subcontinente indiano: il bianco il giallo l’arancio il verde il rosa pesca.

Il 1962 non è un anno semplice per il matrimonio Kennedy; il 5 agosto viene trovata morta nella sua casa di Los Angeles Marilyn Monroe; che un paio di mesi prima, ubriaca e vestita di un abito color carne che poco lasciava all’immaginazione aveva cantato Happy birthday to you al presidente, in una serata al Madison Square Garden cui Jackie si era ben guardata dal partecipare. La storia è nota, e come spesso accade alle persone universalmente famose  pochi dettagli intimi vengono risparmiati dalla curiosità altrui. Lady Violet pensa che alla fine anche l’antagonismo tra Jackie e Marilyn abbia contribuito alla popolarità dei Kennedy, e alla loro leggenda. La raffinatezza di Jackie, la sua cultura, gli eventi artistici ospitati per la prima volta alla White House trovavano il loro contraltare in Marilyn – e nella sua performance – in un mix di alto e basso, di élite e di popolare.

L’anno seguente Jackie è di nuovo incinta, mentre Jack comincia a fare piani per la rielezione del 1964. Il 9 agosto nasce Patrick, ma è prematuro e muore due giorni dopo. Il colpo per la First Lady è pesante, nel suo passato ci sono già un aborto spontaneo e una bimba nata morta, Arabella.

Per riposare e riprendersi, parte con la sorella per la Grecia, dove incontra la famiglia reale al palazzo Tatoi. Accetta l’invito di Aristotele Onassis per una crociera sullo yacht Christina. Lei non lo sa, ma la sua prima vita sta per finire. La seconda però è già all’orizzonte. 

Qui trovate la prima parte del post dedicato a Jackie: Jackie, la donna che visse tre volte (parte prima)

Qui l’ultima parte: Jackie, la donna che visse tre volte (parte terza)

Qui il post dedicato al figlio John F. Kennedy Jr, che oggi avrebbe compiuto 60 anni A Royal Calendar – 16 luglio 1999