Doppietta nel nome di Grace, con Albert a Monaco e Charlène in Cina. La principessa è a Macao, dove ha inaugurato la mostra Grace Kelly from Hollywood to Monaco, allestita nello spazio espositivo di un hotel di lusso, il Galaxy Macau.
Ora io so bene che il Principato ha una natura commerciale superiore a quella di qualunque altra monarchia (e pure di parecchie repubbliche), ma che vi devo dire, vedere i ricordi della vita di Grace nella hall di un albergo mi fa una gran tristezza.
E non si può dire che la presenza della bionda princesse innalzi lo spirito: inguainata in un abito con scaglie a rilievo, caracollante su un inutile plateau che la rende goffa sia in piedi sia seduta, abbarbicata alla borsetta banalmente firmata (una Vuitton, dipinta con lo skyline di Shanghai, tanto sempre Cina è).
Ma non era meglio una bella Kelly, la borsa che Hermès dedicò alla principessa scomparsa? Quanto sarebbe stata più chic questa citazione, in omaggio alla suocera mai conosciuta? (Ma che ce lo domandiamo a fare?)
A Monaco invece Albert con sorella Stéphanie e alcuni nipoti ha inaugurato la mostra che ricorda il primo incontro di Rainier e Grace: Monaco, 6 mai 1955. Histoire d’une rencontre. La mostra è allestita nei Grands Appatements du Palais Princier ed è un’iniziativa interessante, perché è organizzata più che sugli oggetti su un’idea, quella che lo charme e l’allure di Grace siano ancora vivi e attraenti per il pubblico, cosa di cui ho pochi dubbi.
Purtroppo mi sembra evidente che, scomparsa lei, il fascino che caratterizzava il Principato sia scomparso a sua volta, e i suoi eredi riuniti intorno all’abito che lei indossava in quel giorno lontano (che personalmente continuo a non amare) sono una famiglia simpatica e affiatata, ma charmante proprio no.
Il cestino di mughetti, creato da Fabergé per la famiglia dello Zar nel 1896, ora al Metropolitan di New York. Il Lilies-of-the-Valley Basket è parte della Matilda Geddings Gray Foundation Collection, che comprende il lascito di un’ereditiera della Louisiana con un certo talento artistico e un gran gusto, che iniziò ad acquistare creazioni di Fabergé nel 1933, quando negli Stati Uniti probabilmente non sapevano neanche chi fosse. Nel corso degli anni Matilda Geddings Gray accumulò una sontuosa collezione che alla sua morte, nel 1971, lasciò alla fondazione che porta il suo nome, con il legato che le opere fossero esposte al pubblico, cosa di cui le saremo eternamente grati.
Ieri Her Majesty ha partecipato al funerale della Contessa di Carnarvon, la cui famiglia possiede Highclere Castle, cioè il maniero diventato universalmente famoso come Downton Abbey. Nata Jean Margaret Wallop in un’importante famiglia angloamericana – il nonno paterno era l’ottavo conte di Portsmouth, mentre uno dei suoi fratelli è stato per tre volte senatore repubblicano del Wyoming – la contessa aveva sposato nel 1956 Henry Herbert, noto come Lord Porchester prima di ereditare il titolo di Lord Carnarvon alla morte del padre. La coppia è stata sempre molto legata alla sovrana, che ha tenuto a battesimo il primogenito George, oggi VIII Earl of Carnarvon (è il primo signore a sinistra). Il vecchio conte, scomparso nel 2001, era un grande appassionato ed esperto del mondo equestre e delle corse ippiche, fidatissimo consigliere della regina che lo chiamava affettuosamente Porchey.
La signora è naturalmente Caroline de Monaco, principessa di Hannover; il signore con lei è Ettore Spalletti, pittore nato a Cappelle sul Tavo, in provincia di Pescara, dove ancora vive e lavora. Caroline ha visitato la mostra dell’artista, Ettore Spalletti, Ombre d’azur, transparence. Organizzata al Nouveau Musée National de Monaco nella sede di Villa Paloma, resterà in cartellone fino al 3 novembre.
Amo la grazia delle sue figure deliziosamente grasse ed eleganti, come le due signore in abito Valentino commissionate da Vogue, che il couturier usò per la comunicazione della collezione Haute Couture Primavera/Estate 1981 (le trovate in fondo). Amo il modo in cui i volumi definiti dal colore piatto, senza ombreggiature, si inseriscono nello spazio del dipinto. Amo guardare i capolavori dell’arte europea attraverso i suoi occhi, quelli di un popolo e di una cultura più giovani e semplici che probabilmente trascurano il dettaglio ma colgono l’essenziale, e mi ricordano che l’arte è un processo dinamico, in continuo movimento, inesauribile.



La grande tela, custodita al Louvre, rappresenta il momento in cui Napoleone alza la corona per porla sul capo di Josephine alla presenza del papa, delle famiglie Bonaparte e Beauharnais, di dignitari francesi e stranieri. L’episodio si era svolto il 2 dicembre 1804, quando il futuro Imperatore aveva scelto per la sua consacrazione la cattedrale parigina di Notre Dame e non quella di Reims, dove tradizionalmente venivano incoronati i Re di Francia.
Spero che dalle foto possiate apprezzarne l’originalità: una ghirlanda stilizzata con fiori e foglie scelti dalla sposa per il loro significato: c’è la rosa bianca di York, il cardo scozzese, il trifoglio d’Irlanda (in omaggio alle origine scozzesi e irlandesi della famiglia materna) e l’edera, che dà il nome alla nuova casa coniugale, l’Ivy Cottage all’interno di Kensington Palace.
L’abito davanti è piuttosto semplice, caratterizzato dall’ampio collo che scende sulle spalle a coprire l’attaccature delle maniche lunghe; vita tagliata e una piega rovesciata sul fianco (notate la precisione con cui la cucitura della piega prosegue per dare garbo al busto.

Nessuna fotografia riesce a rendere la raffinatezza del colore di quello chiffon, il vero color cipria, magnifico. Uno stile vagamente medioevale, anche in questo caso ci sono le maniche lunghe e un profondo scollo sulla schiena, col tocco scenografico del mantello in chiffon impalpabile.


Dopo lungo e periglioso (ma non scomodo) cammino Lady Violet giunse finalmente nella sala della mostra, dominata da un’ampia teca di vetro contenente tutto ciò che ci si poteva aspettare, e anche qualcosa in più. Andiamo a cominciare con l’abito dello sposo, fondamentale accessorio di ogni matrimonio.
Morning suit – l’abito che noi chiamiamo tight – molto ben tagliato dalle sapienti mani di Huntsman&Sons, storica sartoria di Savile Row che ha vestito gentlemen di ogni tipo, da Paul Newman a Manolo Blanhik, da Gregory Peck a Marc Jacobs. Un filo troppo lunghi i classici pantaloni grigio scuro, perfetta la giacca nera; non ho apprezzato troppo la profilatura dei revers – che evidentemente invece Jack deve amare, perché gliel’ho già vista in precedenti occasioni (Jack, ma tu l’hai mai visto Uncle Charles con una giacca come la tua? E ti sei mai chiesto il perché? Ecco, la prossima volta fatti la domanda e datti la risposta). Panciotto piuttosto accollato, blu con profilo bianco (pure qua!); capisco che il colore sia stato scelto in armonia con l’interno della chiesa, il cui pavimento era ricoperto da una guida blu (come anche il tessuto che ricopre i sedili lignei del coro, dove prende posto la Royal Family), ma la palette nero-grigio-blu non mi convince affatto. Insomma, Jack è promosso per simpatia, ma non si adagi sugli allori.
Ma accidenti che piedino la ragazza, porterà il 42!
Queen Victoria’s Palace è la mostra che sarà visitabile dal 20 luglio al 29 settembre, e racconterà come la giovane sovrana seppe trasformare una residenza reale poco amata nel simbolo di una nazione: centro politico e cuore pulsante della vita sociale e culturale.