Una piccola storia di Natale

Arriva da Windsor la più tenera, dolce, bella storia natalizia di quest’anno.

Il 7 dicembre il Re registra il suo secondo Christmas speech, al termine del quale un coro di giovanissimi esegue una popolare canzone di Natale,While Shepherds Watched Their Flocks by Night. È il Bexley Music Junior Choir, assai rinomato per l’impegno di avvicinare i più piccoli alla musica. Tra i coristi c’è Olivia Taylor, una bimba di sette anni affetta da un tumore cerebrale che l’ha resa cieca quando aveva solo 17 mesi. Queen Camilla viene a sapere di Olivia e decide di invitarla a per l’afternoon tea con i genitori e la sorellina Imogen.

È così che la piccola viene ricevuta con tutti gli onori al castello di Windsor, e la regina in persona le serve il tè. Olivia ha con sé l’orsacchiotto Corrie, che la accompagna sempre, anche durante esami e terapie; e pure per lui c’è un posto a tavola, e addirittura un biscotto col suo nome (credetemi, gli Inglesi per queste cose sono imbattibili). Per le due bambine c’è poi un regalo davvero regale: due nuovi peluche, non orsetti ma corgi of course.

(Ph: Jonathan Brady/PA

Oltre a conversare amabilmente con l’illustre padrona di casa, che l’ha trovata deliziosamente chatty, chiacchierona, Olivia ha potuto toccare ogni cosa presente nella sala, e giocare con le repliche delle regalie della recente incoronazione. La storia è stata resa nota solo ieri, e magari vi è capitato, o vi capiterà, di vedere altre immagini di questo speciale afternoon tea: non potrete fare a meno di notare come in ognuna la bimba rida allegramente.

Perché, come ricorda in una breve intervista la madre Liz, la disabilità, la malattia, non è ciò che definisce una persona, è solo un aspetto della meravigliosa complessità umana. Olivia è una bambina con una condizione particolare, ma non è quella condizione, non è quel corpo, è anche quello, ma è molto altro: un carattere aperto e affettuoso, un temperamento gioioso, una bella voce,

E questa riflessione può essere un piccolo regalo di Natale per noi.

Vestiti per le feste

Superata la prima – spero ultima – influenza della stagione proviamo a recuperare un po’ del tempo perduto; e abbiamo la fortuna di poterlo davvero in grande stile.

(Ph: Heiko Junge/NTB)

Con una premessa: chiediamo scusa alle due birthday girl di questi giorni – Catharina-Amalia d’Olanda (in nero) compie oggi 20 anni, mente Sofia di Svezia (in rosa) ieri ne ha festeggiati 39 – ma quest’anno a loro tocca solo una veloce citazione, che facciamo con i ritratti pubblicati dalle rispettive Case reali.

Andiamocene a Oslo, dal Principe Sverre Magnus, che domenica 3 ha raggiunto la maggiore età. Figlio minore dei Principi Ereditari, al contrario di quanto avvenne a suo padre, anche lui nato dopo una femmina, non scavalcherà la sorella nell’ordine di successione rimanendo il cadetto – qualcuno direbbe lo spare – condizione in fondo non priva di vantaggi, a saperli cogliere. Come predetto da Lady Violet (non è che ci volesse molto) il simpatico biondissimo pacioccone si sta trasformando in un vero e proprio Prince Charming, un principe azzurro come i suoi occhi, presi da mammà. Il giovanotto è stato festeggiato con la necessaria formalità con un pranzo ufficiale a Palazzo venerdì 1 dicembre.

(Ph: Heiko Junge/NTB)

La famiglia reale, con la sola eccezione del Re, è apparsa vestita con il bunad, il costume tradizionale del Paese, e proprio un bunad è stato il regalo che i sovrani hanno fatto al nipote. Non è certo la prima volta che li vediamo in abiti tradizionali: li indossano molto spesso – sempre il 17 maggio, giorno della festa nazionale – e c’è ragione precisa, legata alla storia della Norvegia. Dopo essere stata per secoli poco più di una provincia – parte dell’Unione di Kalmar con Danimarca e Svezia dalla fine del quattordicesimo secolo, e del Regno di Danimarca dal 1536 – nel 1814, in conseguenza delle guerre napoleoniche forma un regno con la Svezia, per poi diventare indipendente nel 1905. Da allora diventa fondamentale sottolineare l’identità norvegese, e lo si fa ricorrendo a ogni aspetto della cultura nazionale. Il bunad è parte di questo processo; oggi se ne contano circa 450 modelli diversi, e praticamente ogni villaggio ha un dettaglio unico che lo caratterizza nel ricamo; per fare un esempio quello dell’arcipelago artico delle isole Svalbard è ricamato con i fiori locali e la sagoma degli iceberg.

(Ph: Terje Pedersen/NTB)

Sverre Magnus ha ricevuto un modello dell’antica contea di Telemark risalente al 1870, e durante il suo discorso la nonna Sonja ha raccontato quanto sia stato interessante per lei e Harald seguire le scelte fatte dal ragazzo per far realizzare un abito che lo rappresentasse. La regina ha rivelato anche un piccolo segreto: negli anni scorsi, quando si è trattato di realizzare il bunad per le nipoti, lei ha ricamato per loro una piccola borsa da abbinare; nel dubbio di come poter personalizzare il costume dell’unico nipote maschio, è stato lui ha suggerire l’aggiunta di una taschina interna.

(Ph: Terje Pedersen/NTB)

Sonja è la figlia di quello che all’epoca era il principale commerciante di tessuti e confezioni di Oslo, ha un diploma in sartoria e nel tentativo di allontanarla da Harald all’inizio della loro relazione, considerata non opportuna, fu mandata all’estero a studiare fashion design. La regina ha sottolineato l’amore del nipote per la tecnologia e in particolare la fotografia; qualcun altro invece ha indicato a Lady Violet la somiglianza crescente tra il biondo Sverre Magnus e lo zio Espen Høiby, fratello maggiore della madre Mette-Marit.

Vi dirò, la cosa si fa interessante.

Cambiamo scenario e famiglia reale, ma restiamo nell’ambito dei costumi particolari, se non proprio tradizionali. Una delle iniziative più note e importanti di Charles, nei lunghissimi anni da Principe di Galles, è stata l’istituzione del Prince’s Trust, organizzazione benefica molto ben strutturata deputata alla raccolta di fondi da impiegare principalmente nella formazioni di giovani svantaggiati. Ora che è Re, è stata annunciata la trasformazione in King’s Fund, ma in attesa del cambiamento l’attività non si ferma e l’ultima iniziativa ha un che di sublime. Assecondando l’idea di alcuni studenti, King Charles ha messo a disposizione dei parati che ornavano Buckingham Palace e Windsor, con cui sono stati realizzati dei kimono messi all’asta per raccogliere fondi.

(Ph: Jane Barlow/PA)

Con grande disappunto di Lady Violet i capi così realizzati sono andati immediatamente sold out, ma è ormai incontrovertibile che il kimono sia da considerarsi un must di ogni guardaroba. A questo punto I have a dream, ho un sogno, che qualcuno venga a commentare una mia mise chiedendomi ‘spiritosamente’ se mi sia vestita con una tenda, in modo tale da poter rispondere: sì, ma di Buckigham Palace! Altro che Scarlett O’Hara… Non ci resta che sperare in una seconda edizione, dopo tutto domani è un altro giorno.

La foto del giorno – World AIDS Day

Sarà perché ho beccato l’influenza, che è una malattia stupida la cui capacità di rovinarti le giornate (spero poche) è inversamente proporzionale alla sua gravità ma oggi, invece di tuffarmi nella frenesia prenatalizia che entra nel vivo, mi perdonerete se vi parlo di qualcos’altro. Perché oggi, 1 dicembre, è la giornata mondiale della lotta all’AIDS, Acquired Immune Deficiency Sindrome, la sindrome da immuno deficienza acquisita.

Se negli anni ’80 eravate adulti, o almeno abbastanza grandi, ricorderete l’impatto che questa orrenda malattia ebbe sulla società, aggravato dal fatto che la trasmissione era più facile tra le persone omosessuali, per cui si oscillava tra il considerarla la peste del ventesimo secolo e una piaga biblica. La paura era tale che contro ogni logica – il contagio avviene solo per via ematica – ricordo bene gente che al bar insisteva per avere i bicchieri usa e getta, o addirittura se andava a cena fuori si portava le posate da casa (ne sono stata testimone). E siccome compagna della paura è spesso l’ignoranza, lo stigma verso chi ne veniva colpito era enorme. Poi le cose iniziarono a cambiare, anche grazie a una fotografia. Questa.

La sindrome fa la sua comparsa nella letteratura scientifica nel 1981, anche se già negli anni ’70 erano stati riportati casi sporadici negli USA e in Africa. Nel 1985 muore Rock Hudson, attore la cui carriera è incentrata principalmente sulla prestanza fisica, sex symbol amatissimo dalle donne ma in realtà omosessuale costretto a celare la sua natura, e persino obbligato a un matrimonio di facciata. Il 1987 è probabilmente l’anno decisivo: gli USA vietano l’ingresso alle persone contagiate o sieropositive, e il Presidente Reagan cita per la prima volta la malattia in un famoso discorso. La prevenzione è fondamentale, e nel Regno Unito parte la campagna Don’t Die in Ignorance (non morite d’ignoranza). Il 9 aprile la Principessa di Galles viene invitata dal Middlesex Hospital di Londra a inaugurare il Broderip Ward, il nuovo reparto dedicato all’AIDS e alle malattie collegate all’HIV. Diana è un po’ nervosa per quella visita che si presenta diversa da tutte le altre, ma all’inizio scorre come tante altre: le mostrano gli spazi, i laboratori, le attrezzature, cose così. Però il timore dello stigma è tale che c’è un solo paziente, il trentaduenne Ivan Cohen, disposto a farsi fotografare con la principessa, a patto di essere ripreso da dietro. E Diana gli stringe la mano, una mano non guantata, pelle contro pelle. L’impatto è enorme. La principessa ripeterà spesso quel gesto, in molti ospedali in giro per il mondo. Forse marciandoci un po’, o anche tanto. Ma quel giorno fu a suo modo rivoluzionario, e le va riconosciuto. La rivoluzione non sarà un pranzo di gala, ma a volte si può fare anche in abitino elegante e scarpine décolleté.

P,S, in Italia un giornalista malato di AIDS, Giovanni Forti, racconta sull’Espresso la sua agonia; una lettura per me straziante ma importante. Probabilmente il web ne conserva le tracce; la storia è stata narrata anche da Brett Shapiro, compagno di Forti, nel libro L’Intruso. Voi però date retta a Lady Violet: non abbassate la guardia, mai.

Giovedì gnocchi! – Johnny

Lo so, non è un royal, ma chi potremmo scegliere per chiudere il nostro breve menù estivo a base di gnocchi se non lui? Quello che tutti e tutte, con auspicata familiarità, chiamano Johnny, è Jonathan Thompson, recentemente promosso da Maggiore a Tenente Colonnello del 5th Battalion Royal Regiment of Scotland.

Ha abbracciato la vita militare nel 2006 dopo una laurea in economia, e iniziato ad attirare una certa attenzione dal 2018, quando è entrato al servizio di Sua Maestà come ufficiale addetto alla sicurezza (va detto che anche noi lo abbiamo notato presto Le foto del giorno – 6 agosto).

La sua popolarità è esplosa quando è diventato Equerry, e si è trovato presente e a gestire la scomparsa della sovrana e l’ascesa al trono di King Charles, che lo ha confermato nell’incarico. Benché sia molto apprezzato con indosso il kilt, che indossa con virile naturalezza, non è scozzese; è infatti nato a Morpeth, cittadina di neanche 15.000 abitanti nel Northumberland, che con la Scozia confina. Personalmente lo preferisco in uniforme, ma fa la sua figura anche in borghese. E comunque, avercene!

Comprensibilmente, data la delicatezza del suo ruolo, è molto difficile trovare informazioni sulla vita; dovrebbe essere nato nel 1984, per cui l’anno prossimo diventerà a pieno titolo uno splendido quarantenne. Purtroppo non è single, ma sposato da ben 13 anni con Caroline, già esperta di marketing e personal trainer, che oggi offre consulenze personalizzate (se vi incuriosisce, questo è il suo sito https://www.whiteheartcomms.co.uk/). La coppia ha avuto un bambino nel 2018, la cui privacy è custodita rigorosamente, tanto che non ne conosciamo neanche il nome.

Pur essendo uno di quegli uomini che secondo me migliorano con l’età era bellino pure da giovane (qui trentenne coi gradi da capitano).

Il fisico asciutto e muscoloso è naturalmente frutto dell’addestramento militare coniugato con l’attività sportiva, sempre di moda e purtroppo anche benefica.

Si dimostra essere un uomo per tutte le stagioni, eventualmente disponibile anche come portafiori. Mi si è giusto rotto un vaso… Il buon Dio ci conservi a lungo King Charles, e il Re ci conservi – e ci mostri il più possibile – il suo Equerry.

Se poi volete il bel Johnny sempre con voi, potete farlo; una cara amica del sofà di Lady Violet ci segnala questa shopper he contiene un piccolo gioco di parole: kilty per il kilt al posto di guilty; guilty pleasure vuol dire piacere proibito.

E se al posto del kilt mettessimo dei pantaloni? Vi dirò, non mi dispiace per niente, e pure più adatto all’autunno!

Una piccola nota

Vi avevo promesso, una piccola nota? Eccola. L’argomento è tornato d’attualità di recente: signore che a eventi di gran gala si ritrovano vestite con mise simili, se non addirittura uguali. Credo che in futuro di invitate con lo stesso abito ne vedremo in numero crescente, dato che si dà sempre più la preferenza a capi di moda, magari pure prêt-à-porter piuttosto che a creazioni su misura, e che l’acquisto ormai avviene attraverso canali diversi: a partire dalle boutiques sparse in tutto il mondo che vendono tutte le stesse collezioni, per finire al web. Penso ad esempio al recente royal wedding giordano, dove le zie dello sposo si sono trovate in questa situazione, francamente difficile se non impossibile da evitare con un parterre così ampio e internazionale. E si potrebbe fare pure un discorso sulla omologazione del gusto, ma ce lo lasciamo per un’altra volta.

(Ph: Ingemar Lindevall/Kungl. Hovstaterna)

Altro è però se le protagoniste della serata arrivano con abiti esclusivi ma dello stesso colore, tipo Silvia di Svezia e Sonja di Norvegia due settimane fa: su tre regine presenti due erano in giallo. In questo caso un minimo di coordinazione sarebbe auspicabile, sono pure parenti! E vale ancor di più per colori sgargianti: due signore in arancione faranno un effetto diverso da due signore in grigio, anzi, la ricerca di certe armonie potrebbe perfino essere un vantaggio; quanto ci sono piaciute Camilla e Brigitte in un blu praticamente identico?

(Ph: Arthur Edwards/Pool via REUTERS)

Vi sembra una sciocchezza? Certo non è un argomento che influisce sui destini del mondo ma ha un suo perché, come dimostra un famosissimo aneddoto. Che vuole Elizabeth II e il suo Prime Minister di allora, Margaret Thatcher, ritrovarsi a un ricevimento ufficiale vestite nello stesso colore. Il giorno seguente Thatcher fece contattare Buckingham Palace sottolineando l’opportunità di coordinare le proprie mise in futuro, per sentirsi rispondere di non preoccuparsi, perché la Regina non si curava di ciò che indossavano gli altri. Sbam! Da allora siamo stati sempre certi che quella fosse la realtà, vestitevi come vi pare che tanto i sovrani non se ne curano. Fino a una ventina di giorni fa, quando abbiamo scoperto questo.

Il giorno 8 di questo mese tutto il mondo ha ricordato Her Majesty nel primo anniversario della morte. Molti hanno condiviso un ricordo personale, e questo è uno di quelli. Carrie Johnson, moglie dell’ex Prime Minister Boris, ha pubblicato questo biglietto, che aveva trovato sul suo letto durante una di quelle brevi visite che i capi del governo facevano alla sovrana in Scozia durante le vacanze estive. A sorpresa, il biglietto dice: Signora, Sua Maestà indosserà un abito da cocktail color azzurro ghiaccio alla cena di questa sera.

Dunque alla fine la Regina non era contraria a coordinarsi con le altre signore; come abbiamo sempre sospettato, era proprio Margaret Thatcher a starle sullo stomaco. Realmente.

L’altra vittima

Diana è Diana. Henri Paul l’autista ubriaco che ha finito per causare l’incidente. Trevor Rees-Jones la guardia del corpo e l’unico che riesce a salvarsi. Nella tragedia del tunnel dell’Alma, consumatasi 26 anni fa, c’è uno dei protagonisti che è raccontato tutt’al più come un comprimario. Figlio di, ultimo amore di, una vita di secondo piano che finisce con una morte di secondo piano. Dodi Al Fayed, o meglio Emad El-Din Mohamed Abdel Moneim Fayed, nasce il 15 aprile 1955 al Cairo. Come in una tragedia greca la sua vita e la sua morte non possono prescindere dalla storia di suo padre.

È una storia che inizia nell’immediato dopoguerra in Egitto, Paese in grande fermento sociale ed economico. A percorrere le strade affollate della Alessandria degli anni ’40 avremmo potuto incontrare un giovanotto di grande intraprendenza, venditore ambulante di Coca Cola; Mohamed Fayed, nato nel 1929, è figlio di un funzionario pubblico che lui disprezza, troppo privo di denaro e di ambizione. Ma quello è un momento in cui le cose cambiano rapidamente, e come il re Faruk viene sostituito dal colonnello Nasser come capo di stato, così l’intraprendente giovanotto sostituisce il commercio di bibite con quello delle macchine da cucire. Il 26 luglio 1952 il re spodestato viene spedito in esilio; il giorno prima ha compiuto 17 anni un altro protagonista della nostra storia, ed è lui la chiave per il giovane Fayed e le sue ambizioni. Il giovanotto si chiama Adnan Khashoggi, studia in Egitto come sua sorella Samira ma viene dall’Arabia Saudita dove il padre, di origine turca, è il medico personale del sovrano ʿAbd al-ʿAzīz ibn Sa’ud. Mohamed capisce che i Khashoggi sono il suo passaporto per il successo e quando Adnan va negli USA per studiare economia all’università di Stanford lui riceve l’incarico di rappresentarlo nei primi affari coi sauditi. Mentre lavora per il fratello corteggia la giovanissima sorella e la sposa nel 1954, dopo aver ottenuto dal futuro suocero un prestito che consenta alla ragazza di continuare lo stile di vita cui è abituata; l’anno dopo nasce il loro unico figlio, Emad, che noi conosceremo come Dodi, ancora un anno e il matrimonio è finito. Nonostante sia stato lui a tradire la moglie, Mohamed riesce a ottenere ciò che vuole (siamo sempre negli anni ’50), e si tiene la dote della sposa.

Samira è una donna interessante, colta e moderna, quella che noi chiameremmo un’intellettuale progressista; giornalista e scrittrice, nel 1958 pubblica il suo primo romanzo. Qualche anno dopo con ʿIffat al-Thunayān, consorte del re saudita Fayṣal, fonda The AlNahda Society for Women con l’obiettivo di migliorare la condizione delle donne. Nel 1972 nasce Al-Sharkiah, una delle principali riviste femminili del mondo arabo, pubblicata ancora oggi e diretta dalla figlia Jumana Yassin, nata dal secondo matrimonio, che finisce rapidamente come il primo. Ce ne sarà un terzo particolarmente infelice, infarcito di tradimenti. Divenuta dipendente dagli psicofarmaci, Samira muore nel 1986. Credo non avesse ancora cinquant’anni (la sua data di nascita non è chiarissima).

Mohamed invece ha intessuto la sua tela di affari, cavalcando le difficoltà e cogliendo le opportunità che in quegli anni abbondano nel mondo arabo, dalle nazionalizzazioni volute da Nasser all’oceano di denaro che arriva nell’area grazie al petrolio. Negli anni ’70 Mohamed Fayed arriva nel Regno Unito, arricchisce il suo nome dell’aristocratica particella Al e parte alla conquista della City. Nel frattempo la sua fortuna, legata a quella dell’ex cognato Adnan Khashoggi, è aumentata a dismisura. Ai lettori che ricordano gli anni ’80 suonerà una campanella, rammenteranno quello che all’epoca era considerato l’uomo più ricco del mondo, una sorta di novello Onassis.

Bassino, pienotto, bruttarello, tragicamente inelegante nonostante la maestria dei migliori sarti del mondo, collezionista di donne bellissime cui dona gioielli in cambio di quello che potete immaginare (citofonare Lory Del Santo). Sposa in seconde nozze un’italiana, la splendida Laura Biancolini, che pian piano vede la sua bellezza trasformarsi nel grottesco simulacro di ciò che era stata. Negli anni ’80 solca i mari a bordo del panfilo Nabila (nome della figlia), venduto poi per 29 milioni di dollari a Trump, con un milione di sconto a patto di ribattezzare lo yacht. Da dove viene quell’enorme ricchezza? Semplice, dal commercio delle armi, di cui Khashoggi domina il mercato mondiale. E già solo per questo, la Diana appassionatamente coinvolta nella lotta alle mine antiuomo avrebbe fatto meglio a esercitare un po’ di prudenza.

(Ph: Tim Graham/Getty Images)

Intanto Al Fayed compra il tempio dello shopping britannico, i magazzini Harrods (poi rivenduti all’emiro del Qatar) e una serie di altri simboli del lusso occidentale, come l’Hotel Ritz a Parigi. Ciò che non gli riesce è essere ammesso nell’alta società britannica, né men che meno ottenere la cittadinanza diventando un suddito di Sua Maestà. Penso che questa circostanza abbia notevolmente influenzato la relazione con Diana: rifiutato dal Paese dove pensava di venire accolto con tutti gli onori decide di prendersi la sua cosa più preziosa: la madre del futuro re, la principessa bella e infelice, l’icona planetaria di charme e glamour. E forse per la prima volta pensa che il figlio Dodi possa essergli utile. Sballottato da una casa all’altra, da una scuola all’altra, mentre il padre costruisce il suo impero e la madre la sua identità, Dodi non ha caratteristiche eccezionali, né fisiche né probabilmente intellettive.

Nato in una famiglia ricca e potente gli manca quella fame che ha spinto il padre, e quella tensione morale che ha motivato la madre. Fa la vita del giovin signore, spendendo e spandendo, seducendo fanciulle più che disponibili a farsi sedurre e producendo qualche film a Hollywood, perfino di successo. Nel 1981, mentre Diana sposa Charles, Dodi è il produttore esecutivo di un film che l’anno seguente vince l’Oscar: Chariots of fire, in italiano Momenti di gloria. Ciononostante la sua carriera non raggiungerà mai il livello che immagino il padre si sarebbe aspettato. Non sappiamo cosa abbia spinto Diana verso Dodi, se l’infanzia solitaria, o il non sentirsi apprezzati né amati, o altro, ma accade e finisce come sappiamo.

(Ph: BackGrid)

La storia che volevo raccontarvi oggi però non è ancora finita, e no, non voglio tornare sulle polemiche relative all’incidente dell’Alma; basti qui ricordare che ognuno ci mise del suo, oltre al fatto che la responsabilità di un incidente “normale” sarebbe stata attribuita dalle assicurazioni a chi aveva fornito auto e autista, cioè il Ritz, cioè Mohamed Al Fayed, il che spiega la rapidità e l’insistenza con cui nacquero e dilagarono le ipotesi di complotto, operazioni cui i Fayed non erano certo estranei. Né voglio entrare nel dettaglio della carriera di Mohamed, intricata come un romanzo (se la materia vi appassiona consiglio la lettura di questo articolo di Richard Newbury, giornalista e scrittore britannico con moglie italiana, è datatissimo ma interessante per farsi un’idea https://www.ilfoglio.it/ritratti/1999/12/28/news/mohamed-al-fayed-57/)

(Ph: Maher Attar/Getty Images)

Facciamo un passo indietro, Adnan e Samira Khashoggi avevano altri fratelli e sorelle, tra cui Ahmad, commerciante di stoffe. Nel 1958 ad Ahmad nasce un figlio, che chiama Jamal. È Jamal Kashoggi, il giornalista e dissidente che sessant’anni dopo sarà ucciso e fatto a pezzi all’interno del consolato saudita di Istanbul. Per ordine di MBS, Moḥammad bin Salmān Āl Saʿūd nipote dell’uomo di cui suo nonno si era preso tanta cura.

(Ph: Hansmusa/Alamy)

Storie scritte col sangue. E mi chiedo cosa sarebbe successo se Diana e Dodi si fossero davvero sposati, e il cugino di lui fosse finito ammazzato così selvaggiamente per volontà di un’altra famiglia reale. .

E vissero tutti felici e contenti

Mentre ieri eravamo distratti dal birthday party norvegese, altrove accadeva una cosa interessante. Questo “altrove” è Schloss Berleburg, aristocraticissima residenza del casato Sayn-Wittgenstein-Berleburg, cui per matrimonio appartiene la principessa Benedikte di Danimarca, sorella minore della regina Margrethe. La notizia è che ieri è stato battezzato il principino che dovrebbe ereditare il casato, protagonista prima ancora di nascere di una storia da romanzo.

(Ph: Karl Anton Koenigs)

Provo a sintetizzare: tutto comincia col quinto principe, Gustav Albrecht, gentiluomo di appassionata fede nazista, il quale all’alba della seconda guerra mondiale decide che titolo e beni di famiglia potranno essere trasferiti a un eventuale erede solo se questi sposerà una donna che abbia tre caratteristiche per lui imprescindibili: dovrà essere aristocratica, protestante, e pure ariana. Poi va in guerra, dove fa almeno una cosa buona: finisce disperso in azione in Bielorussia e non torna a casa – cioè nel castello di Berleburg – dove resta il primogenito Richard con la madre un fratello e tre sorelle. Nel 1944, quando il padre scompare, Richard ha solo dieci anni, e il caso vuole che proprio quell’anno nasca la fanciulla che sposerà: Benedikte, secondogenita di Frederik e Ingrid, che tre anni dopo sarebbero saliti al trono di Danimarca. Quando viene il momento, benché non ci sia ancora una dichiarazione di morte di Gustav Albrecht, il matrimonio osserva tutte le caratteristiche richieste: Benedikte è addirittura di sangue reale, sicuramente ariana e pure luterana.

(Ph: Karl Anton Koenigs)

Primo figlio della coppia è un maschietto, Gustav, e il suo arrivo spinge la famiglia a chiedere la dichiarazione di morte presunta del quinto principe, cosa che avviene a novembre 1969. Richard è ufficialmente il sesto principe, la famiglia cresce – negli anni arrivano due bambine – e tutto procede. All’alba del nuovo millennio iniziano a suonare campane a nozze: viene annunciato il fidanzamento tra il trentaduenne Gustav e Elvire Pasté de Rochefort, aristocratica francese che potrebbe rispondere alle caratteristiche richieste dall’adorabile nonno. Ma qualche mese dopo badabam! Il matrimonio viene annullato. Forse Gustav è già innamorato di un’altra. Quest’altra è Carina Axelsson; modella (vera, è comparsa pure su Vogue) e poi scrittrice. Il cognome scandinavo le viene dal padre svedese, ma lei è nata negli USA, e sua madre è messicana. Dunque non è puramente ariana (succede), non è aristocratica (succede molto spesso) ed è pure cattolica (allora lo fate apposta!). I due vivono insieme, lei è considerata parte della famiglia – tiene a battesimo Athena, unica figlia femmina del principe Joachim e dunque nipote della regina Margrethe II – ma la decisione su un eventuale matrimonio è in stand by. La situazione inizia a cambiare nel 2017 quando muore Richard, capo della casata, marito di Benedikte e padre di Gustav. Come in ogni romanzo che si rispetti compare pure un secondo cugino che cerca di fare il colpaccio spodestando l’erede legittimo ma inadempiente. A quel punto si decide di ricorrere alla legge, contestando il testamento in tribunale. Che dà ragione ai ricorrenti: i vincoli imposti dal nazista non sono validi, e Gustav può ottenere quanto gli spetta. Finalmente l’anno scorso i due attempati ma tenaci innamorati si sposano. Il 3 giugno le nozze civili, il 4 quelle religiose; un appuntamento che Lady Violet si perse essendo ricoverata in ospedale.

(Ph: Karl Anton Koenigs)

La coppia ha avuto subito un bimbo che molto carinamente è nato il 26 maggio, giorno del compleanno del futuro re Frederik, cugino del neopapà, e pure di Lady Violet, che non è parente ma facciamo finta. Ieri dunque il battesimo del pupo, che con una certa dose di umorismo è stato chiamato Gustav Albrecht, come il bisnonno che mai l’avrebbe voluto. Tra i padrini di battesimo l’altissimo Christian – secondo cugino del pupetto – e la graziosa Theodora di Grecia (in rosa), figlia di Anne-Marie e dunque anche lei cugina del papà.

(Ph: Karl Anton Koenigs)

Felicissima Benedikte, cui mi permetterei di fare una sola domanda: ma dopo tutti i problemi questa creatura proprio in questo catafalco la dovevate piazzare? Appunto per Lady Violet: spedire a Schloss Berleburg un cornetto di corallo.

Giovedì gnocchi! James

Confesso, lo gnocco di oggi è tra i miei preferiti; ho sviluppato un certo interesse per lui dal giorno in cui, sfidando la dislessia che lo affliggeva, lesse un brano dalla lettera di San Paolo ai Romani al royal wedding dei Duchi di Cambridge, cioè davanti al mondo intero.

(Ph: AP)

Quel giorno il giovanissimo James (aveva solo 24 anni, essendo nato il 15 aprile 1987), fratello minore della sposa, apparve comprensibilmente teso, fragile ma determinato, conquistando almeno altrettanti estimatori di quelli affascinati dal derrière dell’altra sorella, designata damigella d’onore e autopromossa star della giornata. Negli anni James ha perso l’aspetto delicatamente spaesato, ha acquisito maturità e si è fatto crescere la barba assumendo un po’ quell’aria che fa tanto King George V e in ambito royal funziona dunque assai.

(Ph: Max Mumby/Indigo/Getty Images)

James William Middleton è l’ultimo dei tre figli – e l’unico maschio – di Michael e Carole; benché sia inequivocabilmente un commoner immagino che pure nelle sue vene scorra qualche goccia di sangue blu, quel minimo inevitabile essendo nato in un’isola dove nel corso dei secoli una certa promiscuità ha riguardato le classi elevate e aristocratiche come le popolari. In compenso i futuri sovrani britannici, da George in poi, avranno anche un po’ del suo sangue, il che regala al giovanotto un posto d’onore tra i royal gnocchi.

Come le sorelle maggiori James ha frequentato l’ottimo Marlborough College e si è poi iscritto a una università scozzese; nel suo caso, come Pippa, quella di Edimburgo. Al contrario di Pippa però non si è laureato ma ha abbandonato gli studi dopo un anno a causa dei suoi disturbi dell’apprendimento. Ha iniziato a lavorare nell’azienda di famiglia, la Party Pieces, aggiungendo una costola: la Cake Kit Company, che proponeva kit per la preparazione delle torte di compleanno. Il dolce business è andato avanti un po’ tra alti e bassi per poi arenarsi definitivamente per varie ragioni, tra cui una molto seria: James soffre di depressione, e ha attraversato momenti veramente difficili.

(Ph:

Con coraggio e il sostegno della famiglia – che naturalmente non è perfetta ma è sempre affidabile e solida e unita – James non ha nascosto la sua malattia, e anzi si è impegnato a fondo contro lo stigma che la depressione di porta dietro. Nella sua lotta per non soccombere ha trovato l’alleata perfetta: Ella, un meraviglioso cocker spaniel che ha camminato al suo fianco per 15 anni; un therapy dog che ha aiutato a guarire anche altre persone oltre a lui.

(Ph: Instagram @jmidy)

A gennaio Ella è morta, ma per fortuna il dolore per la sua scomparsa è stato attenuato da una splendida notizia: James e sua moglie Alizée Thevenet, una analista finanziaria francese sposata nel 2021, aspettano il primo figlio. Con la moglie James vive in campagna, produce cibo di qualità per animali (https://ella.co il sito è delizioso, ma per ora non spediscono all’estero) e alleva cocker spaniel; ha regalato lui ai nipoti principini Orla, il cane di famigli che ha sostituito il defunto Lupo, figlio di Ella e zio di Orla.

(Ph: Getty Images)

Per il resto, qualche serata mondana, poche ma significative presenze ad eventi sociali di rilievo: con i genitori e la sorella (ma senza i rispettivi coniugi) ha partecipato all’incoronazione di King Charles e Queen Camilla. Inoltre lui e la sua gentile metà non mancano mai sugli spalti di Wimbledon. Insomma il tipo di vita che Lady Violet adorerebbe.

(Ph: PA Images)

A questo punto so che cosa state per dirmi: non è che finora siamo stati troppo seri? Non temete, la foto da gnocco ce l’abbiamo pure per lui.

A giovedì!

Giovedì gnocchi! Constantine-Alexios

Lo abbiamo visto protagonista di una coppia a sorpresa (Le coppie dell’estate) vi siete incuriosite, e allora approfondiamo un pochino; eccolo con un’altra delle sue donne, la nonna Anne-Marie, fotografati in vacanza a Spetses a luglio.

(Ph: Instagram @mariechantal22)

Constantine-Alexios è il secondo figlio – ma primo maschio – di Pavlos e Marie Chantal, lui Diadoco degli Elleni, lei socialite miliardaria. Prima di lui l’unica femmina Maria-Olympia, dopo di lui altri tre bei ragazzi, tutti con nome doppio. Sembra che Constantine-Alexios sia chiamato Tino dagli intimi, noi non siamo intimi ma ce lo chiamiamo lo stesso per amor di brevità. Tino nasce a New York il 29 ottobre 1998 (solo un giorno prima della mia adorata nipote2), ma viene battezzato a Londra, e tra i suoi padrini conta il sedicenne Prince William. Ha quattro anni quando i genitori decidono di trasferirsi nella capitale britannica, perché nonostante impegni e legami (Pavlos lavora nella finanza USA) desiderano che i figli ricevano un’istruzione europea. Poi torneranno a fissare come prima residenza New York, ma nel corso degli anni continueranno a vivere sui due lati dell’Atlantico. Negli anni del liceo Tino frequenta il Wellington College nel Berkshire, poi manifesta l’intenzione di studiare presso una delle prestigiose università statunitensi, e l’anno scorso si è laureato alla Georgetown University prestigiosissimo ateneo con sede a Washington DC, con un BA in Inglese.

(Ph: Instagram @greek_royal)

A vent’anni si è anche divertito a fare il modello, fotografato da Nikolai von Bismarck per il volume The Dior Sessions realizzato per raccogliere fondi a favore della ricerca per i tumori infantili. Diciamo che nella foto da seduto più che un principe greco-danese ricorda Lucky Luciano, ma avercene!

Non è chiaro se parli il greco, penso di no se non in forma elementare, e anzi qualche anno fa c’era stata una polemica sull’ignoranza della lingua da parte dei figli del Diadoco. Con la morte del nonno, ultimo sovrano di Grecia, la famiglia potrebbe andare incontro a qualche cambiamento, come hanno sostenuto Pavlos e il fratello Nikolaos nella recente intervista a Sophia Papaioannou sulla rete televisiva greca ERT. Ciò riguarda la distribuzione dei titoli, ma anche la cittadinanza greca, che la famiglia vorrebbe ma la costituzione al momento non consente.

(Ph: Instagram @mariechantal22)

E c’è da dire che i Greci sono sempre infastiditi quando nei consessi internazionali ai vari membri della famiglia vengono attribuiti titoli e predicati reali. Noi avremmo una situazione simile, ma considerando la quantità di parrucchieri e fruttaroli di Campo de fiori (tipico e ormai costosissimo mercato romano) che chiamano contessa e principessa le loro clienti, direi che abbiamo un atteggiamento più easy. Tino al momento ha per certo la cittadinanza USA, dove è nato, e i suoi titoli sono comunque riconosciuti in Danimarca, patria della nonna Anne Marie. Tutto ciò premesso, da quello che si sa la sua vita non è troppo diversa da quelli dei giovani della sua età, soprattutto quelli appartenenti a famiglia di un certo rango sociale ed economico. Sappiamo che ama molto la musica e suona la chitarra; ignoriamo cosa farà da grande, ma i suoi genitori hanno sempre affermato che i figli saranno liberi di scegliere la strada che vogliono, certi del loro sostegno. Per ora si gode l’amore per Poppy Delenvigne, ed avendo Lady Violet un temperamento tardoromantico (definizione del professore di Storia dell’Arte del liceo) non può che guardare questa storia con simpatia.

(Ph: Allthingsamalia), sott

Ma riguardando la foto della sua partecipazione alla festa per la maggiore età di Ingrid Alexandra di Norvegia, elegantissimo in compagnia della sorella Maria-Olympia, non possiamo che dire Tino, facce sogna’!

Le coppie dell’estate

Grande classico dell’estate, con l’insalata di riso il burraco e il morto a galla, è mettere il naso nelle relazioni altrui e Lady Violet non si tira certo indietro.

La prima coppia è quella che incuriosisce di più sia perché coinvolge un futuro re, sia perché è la prima che riguarda la nuova generazione, sia infine perché la fanciulla ha sangue e titolo italiani, italianissimi. Lui è Christian di Danimarca, 18 anni da compiere il 15 ottobre, secondo nella successione dopo il padre Frederik. Lei è Maria Chiara di Borbone Due Sicilie, e 18 anni li ha compiuti a capodanno. Nata a Roma, è la minore delle due figlie dei Duchi di Castro, Carlo di Borbone Due Sicilie e Camilla Crociani, uno di quei matrimoni – invero piuttosto frequenti – in cui lei diventa nobile e lui diventa ricco. La fanciulla ha studiato privatamente, parla ben sei lingue, ma sulla pagina che la riguarda sul sito di famiglia non si parla di progetti universitari. Su questa coppia non ci sono certezze ma solo indizi. Il primo: i due sono stati visti insieme a Montecarlo nei giorni del Grand Prix; il secondo: in coda alle vacanze di famiglia a Ibiza lui si è fermato a St Tropez dove lei è in villeggiatura; il terzo: l’articolo che ha dedicato loro la rivista ¡Hola!, pubblicazione regina della prensa del corazón. Nulla di certo dunque, ma come sanno i fan della divina Agatha (e gli appassionati di letteratura gialla in generale) un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova. Per sapere qualcosa in più non dobbiamo aspettare tanto, solo due mesi; vedremo cosa succederà per il compleanno di lui, che sarà celebrato col fasto che merita. Però a me la bionda Camilla – che qualcuno chiama Princess Barbie, di modissima in questi giorni – consuocera di sovrani mi piacerebbe assai, e l’accoppiata con la bruna Mary sarebbe piuttosto stimolante.

(Ph: splashniews.com)

Seconda coppia, altra mancanza di certezza ma voci che sulla stampa anglosassone si susseguono da vari mesi. Lui, Constantine Alexios di Grecia, è il secondogenito e primo maschio dei cinque figli di Pavlos e Marie-Chantal; anche lui compirà gli anni a ottobre, nel suo caso 25. Tenuto a battesimo dall’attuale Principe di Galles, nel Regno Unito è considerato il miglior partito in circolazione, dopo che anche il giovane simpatico e ricchissimo Duca di Westminster ha annunciato le proprie nozze (a giugno dell’anno prossimo). Lei è Poppy Delevingne, della famosa famiglia di imprenditori e modelle. Ha dodici anni di più, un paio di pupi, e risulta ufficialmente sposata, ma si pensa sia separata di fatto da un annetto. Un amore che noi comuni mortali possiamo seguire soprattutto grazie a Instagram: lui posta immagini bucoliche di lei, lei mette i cuoricini ai post di lui. Sembra uno di quegli amori “leggeri” e a questo stadio non ci sono elementi per dire che evolverà in altro, ma è proprio il caso di dire che… se son papaveri fioriranno (per i non anglofoni, poppy è il papavero). E vi assicuro che di lui parleremo ancora.

La terza coppia è l’unica che possiamo dare per certa, dato che ha appena annunciato le nozze. In questo caso diamo la precedenza a lei, la deliziosa Iman Pahlavi; trent’anni a settembre, seconda delle tre belle figlie di Reza, principe ereditario dell’Iran, e dunque nipote della leggendaria Farah Diba. Come sapete, la famiglia reale iraniana fu costretta all’esilio a seguito della rivoluzione islamica; quando il 16 gennaio 1979 lo Shah e la Shabanou abbandonarono il Paese, Reza era all’estero per ragioni di studio, e non ha mai più rimesso piede in patria. Dalla morte del padre, nel 1980, è il capo della famiglia e pretendente al trono; vive negli Stati Uniti con l’occhio sempre fisso al suo Paese e a ciò che vi accade. Negli USA ha conosciuto e sposato Yasmine Etemad-Amini, anche lei iraniana rifugiata all’estero, avvocata e attivista; hanno avuto tre figlie: Noor, Iman e Farah. Lo sposo si chiama Bradley Sherman, ha 33 anni e lavora nella finanza; la coppia si frequenta da tre anni, dopo il fidanzamento alle Bahamas con tutta la famiglia non ha ancora resa nota la data del matrimonio ma si sa che poi Iman e Bradley vivranno a New York, dove lei lavora per American Express. Sono molto curiosa di vedere queste nozze, che penso avranno uno stile più americano che persiano, certo molto lontano dai matrimoni dei nonni della sposa (o quello del nonno con Soraya); sono anche lieta della felicità che spero porterà alla famiglia, negli anni straziata dalla morte dei due figli più giovani dei sovrani, Leila e Ali Reza, entrambi suicidi a dieci anni di distanza. Francamente, più di quello che chiunque possa sopportare.

Se volete, in attesa di bearci delle immagini nuziali, su Netflix trovate il film Drottningen och jag, documento che una regista iraniana naturalizzata svedese (in lingua originale con sottotitoli) ha girato nel 2008 con la Shabanou.

Se poi volete combattere il caldo con un matrimonio veramente da favola, seguite i link: A Royal Calendar – 12 febbraio 1951 (prima parte) e A Royal Calendar – 12 febbraio 1951 (seconda parte)