Novant’anni di King Giorgio (parte seconda)

Sabato scorso i sovrani belgi erano a Londra dove, scortati dai Duchi di Gloucester, hanno reso omaggio ai caduti delle due guerre mondiali con una cerimonia al Cenotafio. La Reine Matilde era vestita Armani Privé, una delle maison cui si affida più spesso, e questo ci consente di riprendere la biografia di Giorgio Armani da dove l’avevamo interrotta, sfiorando uno degli aspetti che ci interessa di più, la relazione con le royal ladies.

La prima parte del post (Novant’anni di King Giorgio (parte prima) si chiude con la morte di Sergio Galeotti, nel 1985, che porta con sé un grande dolore e un grande interrogativo: cosa farà ora Armani senza di lui? Senza il suo spirito, ma anche, soprattutto, senza la sua abilità imprenditoriale, contraltare perfetto alla creatività di Giorgio? Arriva un nuovo direttore finanziario, Giuseppe Volontieri, e a ricoprire il ruolo di direttore commerciale viene chiamato Giuseppe Brusone, già marketing manager di Valentino, che nel 1994 diventerà direttore generale.

La sorella di Armani, Rosanna, diventa responsabile della comunicazione mentre va via Barbara Vitti storica PR, che nel 1982 aveva portato Giorgio sulla copertina di Time, innescando una popolarità planetaria. Lasciano anche Doretta Palazzi, fino a quel momento responsabile comunicazione, e il braccio destro Marisa Modiano Bulleghin, mentre arriva da New York Gabriella Forte.

Armani inizia ad accentrare ogni aspetto del suo lavoro tra le sue mani, e si rivela un imprenditore eccellente; una evoluzione che a me ha fatto sempre pensare a un uomo del Rinascimento. Questa è la sua forza, e per certi aspetti anche il suo limite; lavorare con e per lui non è sempre facilissimo, e negli anni ci saranno altri abbandoni, dalla stessa Gabriella Forte a Lee Radziwill, a Brusone. Questa scelta però aiuta Armani a mantenere quel tratto distintivo, quella unità stilistica che lo contraddistinguono ancora oggi, e negli anni si declinano in molti campi diversi: accessori, beauty, casa, fiori, perfino dolci.

A volte eccede, come per una quella collezione praticamente monocolore dei primi anni ’90, che la madre commentò così: “Giorgio, forse tutti questi beige, meglio lasciarli perdere…” Una conversazione che avrebbe potuto avvenire anche tra mia madre e me, naturalmente a parti invertite. Però questa mania di tenere tutto sotto controllo gli consentirà di rimanere fuori da ciò cha a un certo punto rivoluzionerà il mondo della moda: l’acquisizione dei brand principali da parte di Monsieur Arnault (LMVH) e Monsieur Pinault (Kering) che daranno vita a due multinazionali del lusso. Armani testardamente non cede, resta padrone del suo marchio e della sua creatività. Come un uomo del Rinascimento, appunto, con lo stesso ingegno multiforme. Le sue sfilate sono spesso spettacoli innovativi nati dalla sua mente. Anche quando non riescono, come quella dell’Emporio che avrebbe dovuto svolgersi in una tensiostruttura montata a Place Saint Sulpice, he viene bloccata all’ultimo momento dalla Gendarmerie. La sfilata si farà lo stesso, riservata ai dipendenti di Armani, e il ricco rinfresco farà la felicità di tanti clochard. Molti negli anni si chiedono perché Giorgio Armani proponga raramente abiti da sera; la ragione è semplice, non ci sono abbastanza soldi per farli. Ma i soldi arrivano, tanti, sempre di più, e finalmente all’inizio del nuovo millennio il genio di King Giorgio può misurarsi anche col sogno di ogni creatore di moda, l’haute couture: Armani Privé nasce nel 2005.

Armani Privé scatena il desiderio di regine principesse e aristocratiche varie, che già amavano Armani come Caroline de Monaco, abile trend setter, e come Paola, allora Principessa di Liegi, che si fa vestire da lui per le nozze del figlio Philippe con Mathilde (e poi anche per quelle del figlio minore Laurent con Claire). Noi non ne siamo sorpresi, così come le scelte fatte negli anni, anzi nei decenni, ci sembrano oggi perfettamente logiche e sagge; ma all’epoca non erano così scontate.

Torniamo indietro di una quarantina d’anni, quando probabilmente diversi lettori di questo blog non erano neanche nati, o andavano a scuola. Questa bella foto è del 1985; è il momento del trionfo del Made in Italy, e lo stile Armani si fa notare per la linea classica eppure innovativa, la personalità rarefatta, l’elegante sobrietà. Gli Ottanta sono però gli anni dell’estro, del divertimento anche eccessivo, e questa allegria si riflette anche sulla moda. Pensate a Ungaro, a Christian Lacroix, ma soprattutto a Gianni Versace. Piccola nota personale: per il matrimonio di mio fratello, 1987, io dico a priori che non voglio nulla di Armani, che quell’anno aveva fatto morbide gonne midi e camicie quasi monacali. Ero molto giovane e volevo qualcosa di più divertente, più chiassoso. Come finì? Camicia in organza a righe su gonna in seta a pois. Black&white, tutto Armani of course. Però comprai qualcosa da Versace, in saldo.

Versace, che di Armani era l’opposto. I due non si amavano troppo (anzi per niente) e una volta si sfiorò pure l’incidente diplomatico quando durante una settimana della moda milanese entrambi avevano fissato la propria sfilata lo stesso giorno alla stessa ora. Sembra che Gianni una volta disse a Giorgio “Io vesto le troie, tu donne di chiesa”, ma mi sa che Versace era un po’ fissato perché Ornella Vanoni ha raccontato che una volta che gli contestava alcune mise, il divino Gianni se ne uscì con: “Senti io vesto le zoccole. Se vuoi vestirti da monaca vai da Romeo Gigli.” Proprio Romeo Gigli, e con lui Armani e Prada, incarnano lo stile sobrio degli anni ’90, aggravato in Italia dalla crisi generata da Mani Pulite.

Versace invece resta fedele al suo stile, e lega indissolubilmente il suo nome alla royal lady più famosa di tutte, Diana, che aiuta a definire uno stile personale sempre più lontano dalla Royal Family, sempre più vicino al glamour internazionale. Uniti in vita e incredibilmente anche in morte, lo stilista e la principessa scompaiono entrambi nell’estate 1997, a 47 giorni di distanza.

(Ph: courtesy Giorgio Armani)

Si chiude un secolo, si chiude un millennio, e in quell’anno di passaggio Armani perde l’amatissima madre; Giorgio ha più di sessant’anni, ed è un grande dolore. Perché diciamolo, è brutto perdere i genitori quando si è giovani ma forse è pure peggio perderli da grandi. A supportarlo come sempre c’è il suo braccio destro Leo Dell’Orco, e all’orizzonte un grande progetto: l’alta moda di Armani Privé, quella che lo porterà davvero sul trono.

(Ph: Bertrand Rindoff Petroff/Getty Images)

Sul trono e accanto a molti troni, perché sono tante le royal ladies che si lasciano sedurre dal Privé. Ma questo merita un post a parte, anzi un Royal chic shock e boh. Stay tuned!

Molte delle notizie di questi post sono tratte dall’interessante biografia scritta da Renata Molho, Essere Armani. Non è troppo recente ma preziosa.

Meghan in black and white

Ieri avete dato retta a Lady Violet e avete sostituito (parte di) Sanremo con la diretta dei Duchi di Sussex tempestivamente postata? Lo so che non l’avete fatto, non dite bugie che poi vi cresce il naso e molti di voi non ne hanno proprio bisogno! Se aveste dato un’occhiata avreste visto Meghan très chic in black&white. Meghan EFA 2Stessa scelta cromatica l’aveva fatta anche lo scorso anno per la medesima occasione, gli Endeavour Fund Awards, ma il completo pantaloni nero con camicia bianca che si era attirato anche qualche critica – troppo nero, troppo metropolitano, troppo poco royal – stavolta è stato sostituito da qualcosa di senz’altro più adatto al pancione che cresce a vista d’occhio. Vestita Givenchy, una della sue Maison di riferimento, quest’anno ha invece optato per gonna lunga nera e camicia bianca.

 

Ora, so di non essere obiettiva, ma io ho un debole per le camicie bianche, meglio ancora se con le maniche arrotolate. versace jeans e setaD’altro canto ho anche un debole per le camicie indossate la sera; ricordo che negli anni ’90 Versace aveva vestito le supertop (che peraltro aveva inventato lui) con semplici camicie di jeans abbinate a gonne sontuosissime in quelle meravigliose sete stampate che erano uno dei suoi marchi di fabbrica. Dunque non sarete sorpresi se oggi promuovo la duchessa senza se e senza ma. Poi certo, la camicia è tutt’altro che impeccabile – temo che dovremo dimenticarci la perfezione dell’accoppiata Audrey-Hubert – certo, la linea della gonna, soprattutto se vista di profilo, lascia un po’ perplessi, però nella fase finale della gravidanza è un peccato veniale. Bellissime le scarpe di Aquazzurra, senza infamia e senza lode la clutch nera sempre Givenchy.

Insomma, ottima Meghan, molto meglio di Sanremo!

Style file: Diana Principessa di Galles (terza parte)

All’inizio degli anni ’90 molte crepe iniziano a incrinare la facciata perfetta del matrimonio del secolo. Diana è spesso ritratta sola, e quando è col marito la sua espressione è eloquente.

Un viaggio in India a febbraio del 1992 rende la crisi visibile a tutti e resta celebre per due fotografie: Diana senza Charles seduta davanti al Taj Mahal, monumento all’amore eterno; Charles che al termine di un match di polo cerca di baciare Diana che si gira infastidita.

L’atteggiamento di entrambi in ogni immagine presa nel successivo viaggio in Corea conferma che il matrimonio è finito.

Il 9 dicembre il premier John Major annuncia alla Camera dei Comuni la separazione dei principi.

Lo stile di Diana è quello che si è andato definendo, col decisivo apporto di Catherine Walker, negli ultimi anni: linee più pulite con la costante aggiunta di dettagli non sempre necessari, un interessante uso di colori brillanti che però non raggiunge mai la purezza monocromatica. Si afferma il riuso di capi già indossati; il tailleur rosso e viola si era già visto ad Ascot con cappello coordinato, l’abito da sera di Seul era un vecchio modello rinnovato cambiando la gonna.

Vendetta, tremenda vendetta.

Il 1994 è l’anno in cui molte cose vengono – letteralmente – allo scoperto.

diana revenge

Il 29 giugno Charles, nel corso di un’intervista alla BBC, ammette la sua relazione con Camilla. Quella sera Diana deve partecipare al Serpentine Summer Party (il pezzo sul party di quest’anno è Nipotine royal o giù di lì ) ed è previsto che indossi un abito Valentino. Dalla Maison romana nel pomeriggio parte un comunicato stampa che rende nota la scelta della principessa, e allora Diana cambia idea e tira fuori dall’armadio un capo che aveva da un po’, ma non aveva mai indossato, trovandolo forse troppo osé. Ed eccola comparire inguainata in un little black dress (very little indeed) firmato Christina Stambolian, le belle spalle scoperte, e un nastro di chiffon ad accompagnare il passo. Quella sera Diana mette un punto fermo nel fashion anni ’90, una mise ancora attualissima, calze a parte.

Icona di stile

Nei pochi anni che passano tra la separazione e la tragica morte, Diana diventa quell’icona di stile che è rimasta nella memoria collettiva. Liberatasi del dress code reale abolisce i cappelli, accorcia le gonne e non teme di sperimentare.  In più, riceve il dono più ambito da ogni aspirante dea della moda: una borsa con il suo nome. E nel suo caso sono addirittura tre.

La più famosa è senza dubbio la Lady Dior. Nata dal desiderio di creare un oggetto iconico e immediatamente riconoscibile è un sac à main dalla semplice forma quadrata, di dimensioni contenute. Il disegno è creato da impunture cannage: un susseguirsi di rombi quadrati e triangoli che rendono la tramatura simile a un diamante. In origine chiamata Chouchou, fu ribattezzata col nome che l’ha resa famosa in occasione di una visita della principessa all’atelier, su invito della première dame Bernadette Chirac. Ancora oggi è la borsa simbolo della Maison Dior, realizzata in materiali, colori e dimensioni che variano di collezione in collezione.

Segue di un’incollatura un gioiello italiano: la D Bag di Tod’.

Pelle pregiata, cuciture a vista, doppio manico cucito direttamente sul corpo, tracolla removibile, dimensioni perfette per una borsa che si prestava a molteplici indossi ed altrettanti utilizzi, una shopper di carattere, adatta anche a momenti un po’ più formali. Lady Violet confessa di averne avuta una, nera, e di averla amata e sfruttata moltissimo. Nel corso degli anni sono state presentate nuove versioni della D Bag, ma nessuna con l’appeal dell’originale, che purtroppo non è più in produzione.

Probabilmente non tutti sanno che anche Ferragamo creò in onore della principessa una Lady D: una semplice clutch con catena e il fermaglio simbolo della Maison, il gancio,  

una borsa che Diana acquistò in numerose versioni, creando abbinamenti impeccabili.

Finalmente Versace

diana e versace viaggio in italiaLa persona che più di tutti contribuì a definire lo stile della nuova Diana fu, naturalmente, Gianni Versace. Figlio di una sarta calabrese, a Gianni Reggio Calabria va stretta, e a venticinque anni scappa Milano, la capitale della moda in Italia. Dopo varie collaborazioni, nel 1976 apre un atelier tutto suo, con l’aiuto del fratello maggiore Santo; la prima collezione sfila nel marzo del ’78 al palazzo della Permanente. La particolarità del suo stile si impone rapidamente: Versace mischia la Grecia al Barocco, il Rinascimento alla Pop Art, influenze dell’arte classica che servono per citare e per sperimentare:  nuove linee, nuovi abbinamenti, nuovi materiali: la maglia metallica innanzi tutto, e poi la pelle trattata come un tessuto, il jeans accostato alla seta stampata. Quando si trova davanti Diana fa il percorso inverso:

la libera da ruches, fiocchi, fiori e arricciature, sfrutta il fisico alto e slanciato della sua musa e la inguaina in abiti semplicissimi e geometrici, spesso monospalla, sempre monocromi: bianco, viola, rosso, turchese. Il moderno bob corto della principessa e la sua classe fanno il resto.

La fine della storia è nota, e arriva per entrambi nel 1997. Il 15 luglio lui viene ucciso a pistolettate da Andrew Cunanan davanti alla sua reggia di Miami, Casa Casuarina.

Diana funerale Gianni

Il 22 luglio Diana partecipa ai solenni funerali dello stilista, nel Duomo di Milano. Le immagini dell’epoca ce la rimandano vestita in nero Versace, in mano una borsa di coccodrillo su cui troneggia la Medusa, simbolo della Maison.

La maledizione di Medusa colpisce ancora 40 giorni dopo, nel tunnel dell’Alma.

Diana è ancora in nero per il suo ultimo viaggio: viene sepolta con un abito da sera a maniche lunghe di Catherine Walker, scelto qualche settimana prima in vista della nuova stagione. Tra le mani un rosario dono di Madre Teresa di Calcutta, un altro dei grandi personaggi della fine del novecento che morì in quella triste estate.

I capitoli precedenti del post li trovate qui Style file: Diana Principessa di Galles (prima parte) e qui Style file: Diana Principessa di Galles (seconda parte)