Cara Meryl, oggi è uno di quei giorni un po’ stupidi in cui, siccome si gira la boa del decennio, si fanno bilanci. Io non voglio sottrarmi, e farò il bilancio di questi quarant’anni passati con te. La prima volta ti ho vista in tv, eri una sposa ebrea con splendidi capelli biondi che danzava, gli occhi innamorati e pieni di una speranza presto tragicamente delusa. Era una miniserie, si intitolava Holocaust. E nella storia della narrazione dell’olocausto tu hai un posto speciale, tu e la tua Sophie, costretta a una scelta impossibile. L’ho visto una volta sola, Sophie’s Choice, troppo dolore che tu instillavi in noi con chirurgica disperazione. Vincesti un Oscar, il secondo; il primo era arrivato per Kramer vs Kramer, dove tu eri la madre snaturata che abbandona il figlioletto per andare alla ricerca di sé. Invece Linda, la tua Linda, voleva andare alla ricerca del suo amore disperso in Vietnam, ne Il Cacciatore, uno di quei film che ha segnato la mia generazione. Di pari passo con l’amore e la morte andò per te quel film, perché c’era il tuo uomo,m John Cazale, che recitava mentre moriva. Che dolore dev’essere stato vederlo tramontare mentre tu sorgevi. E però John ti lasciò con un regalo, perché quando lui se ne andò tu lasciasti la vostra casa e ne trovasti un’altra, e ad affittartela fu un amico di tuo fratello, uno scultore, con cui vivi da allora: sposi, genitori, nonni da qualche mese, intellettuali del New England senza la spocchia.
Come faccio a dirti quale dei tuoi film, quale dei tuoi ruoli amo di più? In fondo non importa, perché in questi 40 anni sono passata da adolescente a donna matura, e tu ci sei sempre nello sfondo, tu e le tue donne – giovani o no, innamorate, disperate, felici, perfide; casalinghe, attiviste, donne in carriera – un prontuario femminile da consultare per bisogno o per piacere. Però voglio dirti che dopo Innamorarsi tutte le volte che sono passata davanti alla Libreria Rizzoli sulla cinquantasettesima sono entrata, e sfogliando i volumi preziosi ho alzato gli occhi incontrando magari quelli di un commesso che pareva dirmi no Molly, oggi Frank non c’è, forse domani… Intendiamoci, hai fatto cose che non mi sono piaciute: devo essere l’unica persona al mondo a non amare La mia Africa (però i capelli da Robert Redford me li farei lavare volentieri, e confesso che quella scena ha inciso profondamente sul mio concetto di intimità). Ovviamente adoro Il Diavolo veste Prada, ed è colpa sua – cioè tua – se in primavera non indosso più i fiori (giusto un piccolo foulard Flora di Gucci, ereditato da mia madre, ma sono certa che Miranda me lo passerebbe). Ti ho venerata come Iron Lady, terzo Oscar per uno di quei ruoli che così potevi fare solo tu, e mi sono chiesta se Her Majesty ti avesse vista, e nel caso quale fosse la sua opinione. Ecco, ora che ci penso sullo schermo non sei mai stata una regina. Ma sei l’unico vero sovrano del regno della decima Musa, l’attrice migliore della sua generazione. Anzi, l’attore, perché per me sei la più brava di tutti, donne e uomini. Ed è a te, mia sovrana, che oggi mi inchino nel curtsy più profondo che mi consenta il mio malandato ginocchio repubblicano.
tua da sempre e per sempre
Lady Violet