Oggi lasciamo stare reali e personaggi alle loro vacanze, oggi parliamo di noi.
E di quel minuto di silenzio che alle 11.36 di questa mattina ha portato tutti noi, che pure siamo sempre divisi tra guelfi e ghibellini, insieme a Genova, davanti ai monconi di un ponte che racconta di incuria trascuratezza mancati controlli, e tutto quello che sappiamo, e quello che non sappiamo ancora. Tanti peccati, di parole opere e omissioni, infine pagati – ma non per questo espiati – da 43 che passavano per caso e non c’entravano niente. L’immagine di oggi è questa. Perché è vero che non abbiamo un sovrano che per sua natura rappresenta bene (di solito) l’unità del paese, è vero che qualche volta (io spesso) per ciò invidiamo i sudditi di Elisabetta. Ma è vero pure che pensando a chi ci toccherebbe al Quirinale, erede logorroico compreso, oggi non possiamo che gioire davanti alla sobria umanità del Presidente. Sul cui comportamento in politica ciascuno avrà giustamente le sue idee – e questo è il bello della repubblica – ma che dimostra sempre più, accanto all’equilibrio che senza dubbio da lui ci aspettiamo, una sensibilità e una capacità di empatia, semplice e diretta, che forse non ci saremmo aspettati da un vecchio signore siciliano abituato al pudore dei sentimenti.
La ragione c’è, la conosce chiunque quel 6 gennaio 1980 era abbastanza grande da ricordare quel giovane uomo con gli occhiali spessi e il pullover tenere tra le braccia il corpo del fratello ammazzato dalla mafia. Piersanti, si chiamava, ed era il Presidente della Regione Sicilia.
Ciò che Sergio Mattarella conosce, e capisce, non è solo il dolore per la morte di qualcuno amato e perduto, ma lo strazio per una morte derubata anche della sua privatezza, del lutto che va vissuto in pubblico, dell’angoscia di leggere negli occhi dell’altro la partecipazione, ma a volte anche una curiosità crudele, e magari la colpa. Lo sa, e sa anche che tutto ciò va superato, che bisogna punire i colpevoli ma trasformare la sofferenza individuale in crescita collettiva. E tenere insieme questo popolo che è ancora e sempre di guelfi e ghibellini.
Io ricordo la notizia data alla radio della morte violenta di quel giudice dal nome strano e non oso immaginare cosa significhi accorrere dopo una esplosione e tenere il corpo del fratello in braccio …
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