Ekecheirìa

Oggi, 4 marzo, si sono aperte a Pechino le Paralimpiadi invernali. Oggi dunque nella Grecia antica (che per ovvie ragioni celebrava solo le Olimpiadi estive) sarebbe stata la giornata dedicata a ‘Εκεχειρία, Ekecheirìa, letteralmente il trattenere le mani. La tregua olimpica.

“Personificazione della pace degli dèi, che veniva proclamata durante la celebrazione delle quattro feste nazionali, subito dopo l’apertura dei giochi, per proteggere i partecipanti. Era rappresentata in atto di incoronare Iphitos nel tempio di Zeus ad Olimpia” si legge nell’Enciclopedia dell’Arte Antica Treccani. Iphitos, in greco ‘Ιϕιτος, italianizzato Ifito è il mitico re di Elea, colui che codificò le gare sportive dedicate a Zeus a Olimpia, città peloponnesiaca nella regione dell’Elide, di cui Elea era capitale. Secondo la tradizione a Olimpia si conservava il documento che istituiva la tregua sacra, stabilita da Ifito e da Licurgo, grande legislatore di Sparta, altra importante città del Peloponneso, capitale della Laconia.

I giochi sono parte integrante parte della cultura e della religiosità greca già nelle epoche minoica e micenea – ricordate l’Iliade, i giochi in onore di Patroclo morto? – un modo per onorare gli dei, i defunti, i sovrani. Pratica antica e diffusa in tutta la Grecia, ma è da Olimpia che viene il primo elenco dei vincitori di cui si abbia notizia, stilato nel 776 a.C.; dunque la nascita dei giochi olimpici viene fatta risalire a quella data, per convenzione il 22 luglio (che per completezza di informazione è anche il compleanno di George di Cambridge).

I giochi si svolgevano a Olimpia ogni quattro anni in occasione delle feste olimpie, le più antiche delle quattro grandi feste della nazione greca; c’erano poi le istmie in onore di Posidone, biennali; le nemee, anch’esse biennali, in onore di Zeus; le pizie, in onore di Apollo Pizio, seconde per importanza solo alle olimpiche e come quelle quadriennali. I giochi olimpici erano dapprima riservati ad atleti (e spettatori) dell’Elide, la partecipazione si estese poi all’intero Peloponneso, alla Grecia continentale, alle colonie orientali e occidentali, e nacque di conseguenza l’idea della tregua olimpica. I giochi duravano cinque giorni: il primo era dedicato ai riti religiosi e all’esame di fanciulli e puledri, che partecipavano il secondo giorno a gare dedicate esclusivamente a loro, cui non partecipavano gli adulti. Che invece gareggiavano terzo e quarto giorno; in origine erano solo gare di corsa – ancora oggi chi visita il sito di Olimpia si fa una corsetta nello stadio, compresa Lady Violet da giovane – si aggiunsero poi la lotta, il pugilato, il pentatlon, la corsa a cavallo e con le quadriga, il pancrazio (un misto di lotta e pugilato) e l’oplitodromia una corsa nella quale gli atleti non erano nudi come nelle altre gare, ma come gli opliti (i soldati di fanteria) indossavano elmo, schinieri e il pesante scudo che dava il nome ai soldati, l’oplon. Il quinto giorno si premiavano i vincitori; incoronati con serti di olivo, rientravano nelle città di provenienza su carri trainati da cavalli bianchi; grandemente onorati pubblicamente e talvolta persino ritratti in statue.

«Come l’acqua è il più prezioso di tutti gli elementi, come l’oro ha più valore di ogni altro bene, come il sole splende più brillante di ogni altra stella, così splende Olimpia, mettendo in ombra tutti gli altri giochi» (Pindaro, Olimpica I, 1)I giochi olimpici furono celebrati per più di mille anni fino a quando Teodosio li vietò, nel 393 d.C. In epoca classica l’importanza di Olimpia era tale che fu dotata di un nuovo grande tempio, arricchito da una delle sette meraviglie del mondo antico: una statua crisoelefantina (cioè di avorio e oro) alta dodici metri, opera del più grande scultore dell’epoca, Fidia, che ad Atene aveva appena ultimato il Partenone. Statua oggi scomparsa, come del resto quello spirito olimpico che avrebbe imposto la tregua, la pace.

In questi giorni bui ho pensato a lungo se questo blog potesse avere un significato e una funzione, oltre ad aggiornarvi sulle vicende reali, sicuramente ridotte e necessariamente sobrie. Oggi avrei potuto parlare dei reali olimpionici, che abbondano e a volte si sono anche distinti, come Costantino di Grecia, oro nella vela a Roma 1960. O degli amori reali nati alle olimpiadi, da Carl Gustav e Silvia di Svezia a Frederik e Mary di Danimarca. Ho fatto una scelta diversa, e questo vorrei fare nei prossimi giorni, parlare un po’ di arte e di cultura; un po’ di bellezza in tanto orrore. Aspetto la vostra opinione.

La foto del giorno – Margrethe, festa in famiglia

Oggi, esattamente alle ore 19:50 – l’ora della morte del padre Frederik IX, il 14 gennaio 1972 – Margrethe II ha girato la boa dei cinquant’anni come Regina dei Danesi.

Le numerose iniziative previste per onorare l’importante anniversario sono state rimandate all’estate, quando si spera che il sole e il caldo abbiano avuto la meglio sulla pandemia, e oggi il Giubileo d’oro è stato celebrato in tono minore con le autorità del Paese. Non è mancato l’omaggio alla tomba del Re defunto – e di sua moglie, la Regina Ingrid – a Roskilde, dove riposano i sovrani danesi.

In serata la regina è stata festeggiata con una cena in famiglia: presenti il Principe Ereditario Frederik con la moglie Mary e i quattro figli Christian, Isabella, e i gemelli Vincent e Josephine; il figlio minore Joachim con la moglie Marie, i loro due figli Henrik e Athena, e Nikolai e Felix, nati dal primo matrimonio di Joachim. Tra i commensali anche la Principessa Benedikte, una delle due sorelle minori della sovrana (la cui provvidenziale presenza ha evitato che si ritrovassero in 13 a tavola).

Splendida la mise en place: per l’occasione è stata utilizzata parte del servizio Flora danica, il più importante e lussuoso, usato l’ultima volta nel 1990 per celebrare gli 80 anni della Regina Madre Ingrid.

Il servizio fu realizzato alla fine del Settecento da The Kongelige Porcelainfabrik, la reale fabbrica di porcellane che oggi si chiama semplicemente Royal Copenaghen. I pezzi sono decorati con piante e fiori della flora danese, come erano stati rappresentati nell’enciclopedia botanica settecentesca intitolata appunto Flora danica.

Nato forse per essere donato all’Imperatrice Caterina II di Russia, il servizio rimase invece in Danimarca; comprendeva in origine circa 1800 pezzi, oggi “ridotti” a 1500, custoditi ed esposti al Castello di Rosenborg.

Nel 1862 la Royal Copenaghen riprese la produzione del servizio; se volete conoscerlo meglio, date un’occhiata al sito (in inglese) https://floradanica.royalcopenhagen.com/the-collection/

Lunga vita alla Regina!

La foto del giorno – Catherine fa 40

Ecco la prima fotografia diffusa per il quarantesimo compleanno della Duchessa di Cambridge!

(Ph: Paolo Roversi)

Si tratta del primo dei tre ritratti di Catherine che con l’occasione entrano a far parte della collazione permanente della National Portrait Gallery, di cui la duchessa ha il patronage.

Confesso, la trovo un po’ funerea, vedremo le altre due.

Catherine indossa un abito di Alexander McQueen, sua maison di fiducia, e oltre all’anello di fidanzamento porta gli orecchini di perle a goccia appartenuti a Diana, che le abbiamo già visto in altre occasioni.

Intanto vi annuncio che domani vi aspetto sul sofà per uno speciale sulla splendida quarantenne: 40 anni in 40 mise. Non mancate!

Le foto del giorno – Se Máxima incontra Frida

Immaginate di avere: un titolo di Regina Consorte, un carattere esuberante, un’altezza di tutto rispetto (1.78 che con i tacchi si avvicina pericolosamente ai due metri), una bella figura e uno stile unico. E di dover inaugurare una mostra su Frida Kahlo, pittrice feticcio del Novecento, latinoamericana come voi, ma al contrario di voi piccola e nera, disperatamente innamorata e crudelmente tradita, il corpo martoriato quanto l’anima. Come vi vestireste?

Máxima non ha dubbi: ricicla un vecchio completo Natan – blusa shocking pink su gonna fantasia – e lo completa con un cerchietto floreale come non si vedeva dai tempi dei romani Floralia.

Un copricapo degno contraltare di quel capolavoro faunistico che fu l’indimenticabile fagiano inalberato alle nozze di Guillaume e Stéphanie del Lussemburgo (A Royal Calendar – 20 ottobre 2012).

Accolta con una certa perplessità da una piccola Frida, la sovrana ieri ha aperto le porte della mostra Viva la Frida! – Life and art of Frida Kahlo, allestita presso il Drents Museum della città di Assen.

L’esposizione resterà in cartellone fino al 27 marzo 2022, e presenta al pubblico non soltanto un’ampia selezione delle opere dell’artista, ma anche abiti, gioielli, e i famosi corsetto che Frida fu costretta a indossare dopo l’incidente che le distrusse la spina dorsale.

Come dire, viva la Frida, ma soprattutto viva la faccia!

Save the date!

Se il pomeriggio di martedì 30 non avete impegni, o se vi piacerebbe averne ma siete in zona rossa, ho qualcosa per voi.

Mercante in Fiera – cioè la splendida realtà delle Fiere di Parma – ha invitato me insieme con grandi esperte del bijou americano ad accompagnarvi in un breve viaggio in questo magico mondo. Oltre a un po’ di storia del gioiello non prezioso si parlerà del ruolo fondamentale degli artigiani italiani immigrati negli USA, e di grandi protagonisti come Kennteh Jay Lane. Ma ci sarà anche posto per il più regale degli accessori, declinato in versione meno impegnativa, e sarà proprio Lady Violet a trattare l’argomento.

L’appuntamento è alle 17:00 del 30 marzo seguendo questo link; https://m.youtube.com/user/fierediparma

Se non foste libere, resterà disponibile la registrazione. Enjoy!

Un post su Kenneth Jay Lane ha inaugurato questo blog; lo trovate qui Jackie, Kenneth e la collana dei sogni

Domenica, pigrizia e chiacchiere

Non è un gran periodo per nessuno, e Lady Violet non fa eccezione, dunque questa domenica la dedichiamo alla pigrizia in attesa di tempi – e notizie – migliori. Con qualche piccolo consiglio, sperando che possa farvi piacere.

Forse ricorderete che un mesetto fa vi avevo annunciato un evento online dedicato agli abiti da sposa della Royal Family (Royal wedding dresses). Il 10 febbraio Lady Violet l’ha seguito per sé e per voi, facendo la conoscenza di Caroline de Guitaut, Vice Soprintenente di The Queen Works of Art, e Justine Picardie, esperta di moda già redattrice di Harper’s Bazaar.

(Ph: RCT/Screenshot/Fair Use)

Conoscevo di fama Justine Picardie, che ha scritto con grande cognizione di causa (leggi: non parliamo di Signorini) un paio di libri su Mademoiselle Coco, che sono nella mia lista dei desideri: Coco Chanel: The Legend and the Life e Chanel: Her Life, firmato a quattro mani con Karl Lagerfeld; nessuno dei due, per quanto ne so, tradotto in italiano. Nel corso della chiacchierata Picardie – donna di un certo interesse, madre di un chitarrista indie e sposata in seconde nozze con Philip Astor, della celebre famiglia – ha annunciato l’uscita di Miss Dior: A Story of Courage and Couture, che al momento risulta disponibile solo come e-books. La Miss Dior del libro è Catherine, sorella minore del divino Christian, che ebbe un ruolo centrale nella resistenza francese per cui fu arrestata, torturata e internata nel campo di concentramento di Ravensbrück, da cui riuscì a uscire viva. Se ve lo state chiedendo la risposta è sì, il celebre profumo Miss Dior è dedicato a lei. Catherine e il fratello, che lei chiamava Tian, compaiono brevemente nell’ultimo libro che vi consiglio: The Gown: A Novel of the Royal Wedding di Jennifer Robson. Di questo c’è anche la versione italiana, che sto leggendo; il titolo è Le ricamatrici della regina, un romanzo che immagina la vicenda di due giovani ricamatrici che crearono l’abito da sposa della principessa Elizabeth. Non è certo un capolavoro né racconta una storia vera, ma è una lettura piacevole e poco impegnativa, che alleggerisce un po’ il peso di questi giorni e regala uno sguardo interessante nell’Inghilterra post bellica.

Last but not least, da qualche giorno pensavo di proporvi qualche ricetta legata al mondo royal, oltre la classica e ormai un po’ abusata Victoria Sponge. Questa mattina apro i social e mi imbatto nel post di una carissima amica che cucina da dea, e quando ha tempo scrive anche sul suo blog. E che ricetta propone? La Battenberg Cake! Della quale Lady Violet ha sentito parlare senza averla ancora mai assaggiata. E insomma, io il link ve lo metto, se volete provare poi fatemi sapere; personalmente sono certa che sarà buonissima https://mammachebuono.wordpress.com/2015/02/28/nei-panni-di-una-nonna/

Le foto del giorno – È Carnevale

Siamo probabilmente tutti concentrati in altro, e probabilmente chi non ha bambini se lo ricorda solo davanti a un vassoio di chiacchiere (non quelle di Lady Violet, ma le frappe, bugie, o crostoli) ma questi sono i giorni clou del Carnevale, che mai come quest’anno rischia di passare inosservato. Quale occasione migliore per una piccolissima rassegna di mise reali che replicano, o solamente citano il costume del personaggio della Commedia dell’Arte che Lady Violet ha sempre amato sopra ogni altro: Arlecchino.

Si inizia con un grande classico, che in effetti vi ho già mostrato (Happy Halloween!): Her Majesty Queen Elizabeth II, che il 1 dicembre 1999 partecipa alla Royal Variety Performance in scena al Birmingham Hippodrome con un incredibile abito da sera composto da gonna in squillante seta gialla (il colore varia un po’ a seconda della luce) e blusa in stampa ad arlecchineschi rombi; non è in maschera, ma lei è fuor di dubbio The Arlequeen. Questa mise fece un tale effetto da essere scelto, insieme con quello dell’incoronazione e altri cinque, per vestire una bambola simil-Barbie, ovviamente battezzata Lizzie.

L’origine di Arlecchino è antichissima, incarna lo spirito demoniaco che guida la processione dei dannati, diffuso in buona parte d’Europa; se ne può ritrovare traccia fino al diavolo Alichino, uno dei Malebranche protagonisti di un episodio dai toni comici nei canti XXI, XXII e XIII dell’Inferno. Non c’è però dubbio che quello più noto è il personaggio della Commedia dell’Arte, vestito del classico abito a losanghe colorate: è il servo ignorante ma furbo, il vero antagonista del potere costituito rappresentato in primis dal sovrano, dunque scelta perfetta nel giorno in cui si ribaltano i ruoli, come è il Carnevale che precede la sobrietà quaresimale, la notte di Halloween quando il mondo dei vivi e quello dei morti si rovesciano, o la Festa dei Folli, derivata dai Saturnalia romani, che si svolgeva a fine anno. Feste invernali, in attesa del ritorno della luce.

Questa fascinazione dei sovrani per il costume arlecchinesco, non necessariamente in veste di maschera, è davvero interessante; può dunque stupire che l’abbia indossato una delle sovrane più colte e legate al mondo teatrale?

Margrethe II deliziosa Arlecchina festeggia il nuovo anno, come da tradizione, insieme agli amici più cari: qui è al party di capodanno 2018 a tema The Nutcracker, lo Schiaccianoci, a casa della celebre star del balletto Susanne Heering. Accanto a lei il suo Arlecchino, il Principe Consorte Henrik, che morirà sei settimane dopo. Sicuramente meno impeccabile della moglie, ma in fondo altrettanto sicuramente fedele al suo stile.

Vederli – o piuttosto sbirciarli attraverso la porta – così sorridenti e complici, alla luce di ciò che sarebbe successo di lì a poco, stempera la tristezza in allegra tenerezza.

Ben prima delle due grandi regine, un’altra sovrana subì il fascino di Arlecchino: un abito ispirato al suo costume fu indossato da Ulrika Eleonora, Regina regnante di Svezia dal 1718 a1720, che abdicò poi in favore del marito Frederik von Hessen; questi salì al trono come Frederik I, con la moglie sua Regina Consorte. Non sappiamo quando quest’abito fu indossato, ma certo che è di eleganza e raffinatezza uniche.

Ne ha fatta di strada il goffo servitore, così povero da vestire di ritagli di stoffa!

Se volete vedere altri royals in costume, seguite il link Carnevale, ogni royal fancy dress vale

Lady Anne Clifford, una donna e i suoi diritti

Quello che celebriamo oggi non è esattamente un Royal Calendar, ma Lady Violet confida che la storia di questa donna straordinaria vi appassioni.

Anne, figlia di George Clifford, terzo Conte di Cumberland, e di sua moglie Margaret, nasce il 30 gennaio 1590 a Skipton Castle nello Yorkshire. La famiglia ha vaste proprietà nell’Inghilterra settentrionale, che comprendono non uno ma ben cinque castelli tra la Contea di York e quella di Westmorland. Il padre è ammiraglio, ed è un campione dei tornei organizzati alla corte di Queen Elizabeth I, che nutre un grande affetto per la bambina. Ha due fratelli maggiori che muoiono in giovane età, lasciandola unica figlia ed erede dell’ingente patrimonio; la fanciulla cresce affidata alle cure della madre e del suo precettore, il poeta Samuel Daniel, che le insegna l’amore per la letteratura, la storia, le discipline umanistiche. È molto benvoluta a corte, e partecipa spesso ai masques messi in scena per la gioia di sovrani e cortigiani.

Nel 1605 George Clifford muore; Anne è Baronessa de Clifford suo jure (per diritto di nascita) è anche l’unica erede ma fa un’amara scoperta: nonostante alla fine del XIII secolo le lettere patenti di Re Edward II stabilissero che titoli e patrimonio dei Clifford dovessero essere tramandati al primo erede diretto, indipendentemente dal genere, George lascia tutto al fratello Francis; la figlia sarà compensata con quindicimila sterline. Anne non accetta e inizia una lunga battaglia legale spalleggiata da sua madre: due donne contro il sistema, diremmo oggi. Il primo ricorso viene respinto, ma nel 1607 la documentazione portata da Margaret in favore della figlia, frutto di accurate ricerche, convince i giudici a riconoscerne i diritti; lo zio Francis però si rifiuta di restituire il maltolto alla nipote. Due anni dopo, il 27 febbraio 1609, la ragazza sposa Richard Sackville, terzo Conte di Dorset. Il marito dapprima la affianca nell’impresa, e nel 1615 la coppia ottiene un giudizio di stampo assolutamente salomonico: i possedimenti verranno divisi a metà, e lei potrà avere la parte che preferisce; Anne rifiuta ancora una volta: l’eredità è un suo diritto, e le spetta per intero. Ci fosse ancora la grande regina, potrebbe forse aiutarla, ma Elizabeth è morta tanti anni prima, nel 1603; al suo posto sul trono siede James I, che nonostante le richieste non intende intervenire anzi, cerca di convincerla a desistere con l’aiuto di alcuni cortigiani. A dirla tutta si è anche un po’ stancato della situazione, così come si è stancato il marito, notoriamente perdigiorno e spendaccione, che preferisce tornare al suo stile di vita senza pensieri. Suo cugino Edward Russell, terzo Conte di Bedford, per la sua turbolenza la paragona al fiume Rodano; un modo elegante per darle della rompiscatole.

Nel 1616 Margaret muore, Anne fa erigere un pilastro in sua memoria – il Countess Pillar – vicino a uno dei castelli di famiglia, e resta da sola a combattere per i suoi diritti. L’anno seguente viene proposta un’ulteriore soluzione alla controversia: tutti i possedimenti a Francis, e dopo di lui ai suoi eredi, compensati dalla somma di diciassettemila sterline per lei. Che ovviamente non accetta. Accetta però al posto suo il marito, che prende i soldi e si abbandona alla vita di ozi e spese folli che tanto ama, lasciando la moglie senza più nulla. Sarebbe superfluo sottolinearlo, ma non è un matrimonio riuscito: dei cinque figli nati, tre maschi e due femmine, solo le ragazze raggiungono l’età adulta; manca l’amore, e manca soprattutto la lealtà. Nel 1624 Richard muore. Quattro anni dopo la vedova quarantenne si risposa; lui è Philip Herbert, quarto Conte di Pembroke e primo Conte di Montgomery, ha sei anni più di lei ed è vedovo a sua volta; neppure questo matrimonio sarà felice.

È il 1640, questa volta a morire Francis Clifford, lo zio usurpatore; potrebbe essere la fine della storia, e invece no. Perché Francis ha un figlio, maschio, che subentra nel possesso di un’eredità che non gli spetta. Mal gliene incoglie però: Henry Clifford segue il padre nella tomba due anni dopo; muore senza eredi, nulla più si frappone tra Anne e il suo diritto. Nulla tranne la guerra civile, che costerà la testa a King Charles I un secolo e mezzo prima del suo omologo francese, e consentirà a Anne di prendere finalmente possesso davvero di quanto le spetta, dopo una battaglia durata quarant’anni. Durante il governo repubblicano Lady Clifford resta fedele alla causa del re, suo marito appoggia invece Cromwell e i suoi roudheads, portando alla fine un matrimonio già in crisi per molte ragioni, non ultima la volontà di Anne di consentire alla figlia un matrimonio d’amore, ovviamente contrastato dal marito.

Anne resta vedova nel 1650, ha sessant’anni ed è finalmente padrona dei suoi beni oltre che del suo destino. Inizia la sua terza vita, che ha la fortuna di durare tanto, quasi trent’anni. Diventa quella castellana colta, illuminata e orgogliosa testimone della grandezza della sua casata che ha sempre desiderato essere.

La morte arriva il 22 marzo 1676, alla bella età di 86 anni; la coglie in uno dei suoi castelli, che ha fatto restaurare con passione e perizia, nella stanza dov’era nato il padre e morta la madre. Sembra la chiusura del cerchio, ma non è così, perché il suo amore per le arti e la scrittura le sopravvivono, e arrivano fino a noi, non solo attraverso la pietra dei suoi castelli, ma grazie alla carta. I suoi diari, scritti in forma epistolare, sono ancora stampati e fanno di lei una delle prime, se non la prima, scrittrice nella storia della letteratura inglese.

Mai cercare di ostacolare una donna intelligente, determinata, e pure colta.

    

La foto del giorno – Burns Night

Il 25 gennaio è data che ha un posto speciale nella letteratura inglese: in questo giorno nel 1882 nasce a Londra Adeline Virginia Stephen, che diventerà una delle scrittrici fondamentali del Novecento col nome da sposata, Virginia Woolf. Di lei parleremo approfonditamente tra un paio di mesi, dato che il 28 marzo saranno passati 80 anni dalla sua morte. Un post dedicato a lei è questo Virginia, che inventò la donna moderna.

Nello stesso giorno di 123 anni prima, il 25 gennaio 1759, nasce nel villaggio di Alloway Robert Burns, il poeta nazionale scozzese, che ogni anno viene ricordato proprio questa sera con i Burns supper, feste in cui si mangia (haggis, e altri piatti della cucina delle Highlands), si beve whisky, e si recitano le sue poesie. Francamente ignoro come gli Scozzesi si siano organizzati per celebrare in quest’anno di lockdown, Lady Violet lo fa proponendovi questa bella scatola ottagonale, di proprietà del Royal Collection Trust.

Illustrata con scene della vita del poeta, è stata realizzata a metà dell’Ottocento in legno di larice, col procedimento detto Mauchline ware. È una tecnica pittorica a stampa tipicamente scozzese, sviluppata nella citta di Mauchline, dove lo stesso poeta visse per due anni, dal 1784 al 1786, il periodo considerato il più ricco e felice della sua produzione. La trovo splendida, ma le Arti Minori hanno per me un fascino particolare (e chi conosce il Victoria&Albert Museum può capirmi): oggetti belli, spesso bellissimi, che hanno la capacità di fare da tramite tra epoche, artisti, e fruitori. E lo fanno non col linguaggio aulico del capolavoro, ma con quello più vicino, domestico, dell’oggetto di uso più o meno comune.

Altro sulla Burns night? seguite il link La foto del giorno – 25 gennaio

15 gennaio 1559 – The Coronation Day

Alle tre del pomeriggio del 14 gennaio 1559 Queen Elizabeth I a bordo di un carretto ricoperto di drappi d’oro lascia la Torre alla volta dell’Abbazia di Westminster dove il giorno dopo verrà incoronata. Lungo il tragitto che si snoda attraverso la città archi trionfali e scene allegoriche celebrano la nuova sovrana: si canta la sua discendenza da Henry VII Tudor ed Elizabeth di York, la cui unione mise fine alla guerra civile; e si recupera pure la madre, la sventurata Anne Boleyn; la cui presenza seppur in effige serve a sottolineare la purezza inglese del sangue di Elizabeth, contro quello spagnolo della cattolica sorella Mary, che ora va a sostituire sul trono. Segue un’allegoria del buon governo, basato su quattro virtù: Vera Fede, Saggezza, Amore per i sudditi, Giustizia. Poi le Beatitudini, dal Nuovo Testamento, riferite alle sofferenze patite da Elizabeth soprattutto a causa della sorella maggiore; in un’altra scena il Tempo mostra i fallimenti della sovrana precedente ed esalta quell che sta per essere incoronata in un’evidente rimando satirico, avendo Mary scelto com motto Veritas Temporis Filia . In questo caso la Verità figlia del Tempo porta con sé una Bibbia inglese; ed è a questo punto che Elizabeth prende il libro, lo alza mostrandolo al popolo e poi lo stringe al petto: un messaggio inequivocabile. Infine la nuova regina viene assimilata a Debora, la profetessa che ha salvato Israele dai Cananei; l’augurio è quello di regnare per quarant’anni come l’eroina israelita. Un’idea del calvinista John Knox che si rivela, lui sì, davvero profetico: la Regina resterà sul trono per 44 anni.

L’incoronazione del Re d’Inghilterra sin dal Medio Evo avveniva in quattro fasi; nella prima il sovrano prendeva possesso della Torre, a simboleggiare il potere sulla capitale; il giorno seguente la seconda fase: la processione dalla Torre a Westminster e l’attesa per la cerimonia d’incoronazione che avveniva il terzo e ultimo giorno, ed era la terza fase; la quarta il banchetto a Westminster Hall che chiudeva la giornata.

Elizabeth è regina dal 17 novembre 1558, giorno della morte della sorella maggiore (The Queen is dead, long live the Queen!); viene incoronata due soli mesi dopo, bisogna che il suo regno sia legittimato al più presto. Se l’incoronazione è tutto sommato una questione privata, riservata a pochi, è la processione della vigilia a segnare l’incontro con i sudditi. Elizabeth si rivela degna figlia di sua madre conquistando londinesi e forestieri con grandi sorrisi, affabilità e una certa naturalezza, se mi passate il termine; le cupe ossessioni di Mary si dileguano per sempre al freddo sole di quel giorno d’inverno. Giorno che non è stato scelto come da tradizione in concomitanza con una festa religiosa, ma individuato dal suo astrologo personale, quel John Dee che è una delle personalità più complesse e affascinanti del XVI secolo.

Non è questo l’unico elemento di novità, l’incoronazione di Elizabeth segna una netta cesura col passato: il rito è officiato in latino da un presule cattolico (Owen Oglethorpe, Vescovo di Carlisle; personaggio di non primissimo piano, ma tutti gli altri per un motivo o per l’altro s’erano detti non disponibili) molte parti della cerimonia vengono però ripetute in inglese. Un abile compromesso tra la tradizione preesistente e l’attenzione al protestantesimo, che è vitale per la nuova sovrana. Le variazioni nella liturgia fanno da battistrada ai cambiamenti in campo religioso che Elizabeth è decisa a introdurre, la sua convinzione chiara come il suo obiettivo. È anche l’ultima incoronazione in Albione a prevedere una Messa cattolica, cui sembra proprio che la Regina non abbia assistito, preferendo ritirarsi a riposare; un gran lavoro l’attende.